buzzoole code A Paul's Life: marzo 2006

giovedì 30 marzo 2006

Il Caimano

"IL CAIMAAAAANO" verrebbe quasi da scrivere. Da quando ho visto lo spot in TV, ho la voce di Moretti in testa che mi ripete "il caimaaaaaaaaano". Scherzi a parte, veniamo alla recensione.
Devo ammettere che io di Moretti ne ho visto pochissimo, anzi quasi niente in vita mia. Eppure sono cresciuto accanto a un fratello che, con i suoi 13 anni in più di me, e con una precoce tendenza alla militanza politica, mi ha praticamente bombardato di Allen (Woody) e Moretti per tutta l'infanzia; ma probabilmente ero troppo impegnato a pensare all'Uomo Ragno o a Guerre Stellari per stargli dietro. Moretti per me è stato sempre un autore, in una sorta di pregiudizio positivo, che mi ha sempre ispirato una certa simpatia. Mi è sempre sembrato che il modo di Moretti di scrivere, soprattutto i dialoghi, fosse quello giusto. Senza avventurarsi in disquisizioni che sinceramente mi troverebbero impreparato, i dialoghi, forse i minimonologhi di Moretti mi hanno sempre ispirato.
Questa volta, sono entrato al cinema incerto. Una parte di me era convinta che questo film mi avrebbe fatto pena. Inspiegabilmente. Ma sono andato con molta gioia: diciamo che è tutta la vita che aspetto il momento di entrare al cinema con gli amici (la cerchia di amici più fedeli a dirla tutta) per vedere un film non blockbuster o mainstream. Un sano film italiano. Di questo sono stato contento.
Ma questo esula dalla recension vera e propria, credo.
Come si è scritto e dibattuto ovunque, Il Caimano è principalmente un film sull'Italia di oggi, sul cinema e sull'amore. Certamente, il sintagma "film sull'Italia di oggi", abusatissimo credo, non può che implicare riferimenti, atti, opere e omissioni del Caimano del titolo del film (e del film nel film): Silvio Berlusconi. La cosa interessante è che Berlusconi e il berlusconismo non sono solo una parte importante del film, ma sono anche il fattore scatenante di molti punti della vicenda.
L'elemento sviluppato in modo
probabilmente più interessante è stato il fattore cinema: il protagonista, Bruno Bonomo, interpretato da un bravissimo Silvio Orlando, è un produttore di film di B-movies, le basi di Tarantino tanto per fare un esempio, praticamente in crisi da dieci anni. [Nota a margine: la sequenza che apre il film, presa da "Cataratte", uno dei fake movies della pellicola morettiana, e quella che appare pochi minuti più tardi (in realtà un finto sequel di Cataratte che il personaggio sfrutta a mò di favola della buonanotte), sono davvero eccezionali. Tarantiniane al 100%, forse, e soprattutto nel caso della seconda sequenza, più tarantiniane di Tarantino stesso. Sinceramente, in questi punti ho avuto difficoltà a capire se Moretti facesse sul serio o se fosse uno stupendo esempio di satira cinematografica.]
Per risollevare le sorti della sua casa di produzione, Bruno decide di rischiare: produce un film su Berlusconi (intitolato proprio Il Caimano) scritto da una regista in erba, interpretata da Jasmine Trinca, nonostante la scarsità di finanze. Geniale l'idea della traduzione immediata di stralci della sceneggiatura in "girato" sotto gli occhi di Bruno. Sinceramente, sono proprio le poche sequenze del film nel film le più inquietanti, e in particolar modo l'ultima. È proprio qui che Moretti tira fuori il mondo che ruota attorno al cinema italiano: si va dal restio dirigente RAI che rifiuta il finanziamento, al produttore tedesco cinico, all'attore, interpretato da Michele Placido, che dovrebbe interpretare "Il Caimano". Proprio questo personaggio sottolinea un po' lo spirito dell'italiano realizzato, del divo espansivo ma egocentrico, che va dove ci sono i soldi.
Il Caimano, come si diceva, è anche un film sull'amore, sullo sciogliersi della coppia e della famiglia: Bruno è per molti aspetti un illuso, e questo frangente del film lo sottolinea, un eterno bambino che tenta di salvare gli scampoli della sua vita mentre questa sta gli sta crollando addosso; ma dall'altra parte abbiamo anche la speranza per il futuro, il sincero amore omosessuale della regista e della sua compagna, e lo splendore della loro bambina.
Infine, l'Italia d'oggi, fatalmente dipinta nella breve scena con il primo cameo di Moretti, che interpreta se stesso. Mentre discute con Bruno sull'opportunità di un film su Berlusconi e del suo possibile coinvolgimento, dice:
No, un personaggio come questo non lo faccio, perché sarebbe un film sprecato, perché Berlusconi si fa il lifting e tutti a ridere per il lifting che è venuto male, e poi Berlusconi si fa il trapianto, e tutti a ridere per il trapianto che è venuto bene… Eh no, io non ci sto, è un film per il popolo di sinistra quello che mi chiedete, ma tanto le cose si sanno, chi le vuol sapere le sa, e gli altri tanto non ci crederebbero lo stesso…”. Ma è soprattutto questa la frase chiave del film, la "sentenza" che probabilmente più di ogni altra cosa in questo film apre gli occhi e inchioda alla poltrona: "Ma Berlusconi ha già vinto, ha vinto venti, trenta anni fa, con le sue televisioni... ci ha cambiato la testa!" Un affresco crudele e secco, che fa il paio con la scena finale del film.
Bruno, con l'abbandono dell'attore protagonista e del produttore tedesco, non può mandare avanti la produzione: ha solo i soldi per fare l'ultima scena, per dare una possibilità a tutto. [Nota a margine: proprio qui sta l'unica debolezza narrativa di un film altrimenti linearissimo. Ma purtroppo era l'unico modo per lanciare in modo convincente il finale] Qui il Caimano è interpretato proprio da Moretti (che evidentemente alla fine ha accettato il ruolo): viene rappresentato un futuro possibile e tremendo, in cui il Caimano, uscito sconfitto dal processo, grida "al regime", scatendando la folla contro i giudici.
Un possibile davvero spaventoso.

Un preoccupato freak out,
Pablon






domenica 19 marzo 2006

V for Vendetta

I fratelli Wachowski (o fratello e "neo"-sorella?) sono resuscitati. Dopo la sbandata di Matrix 2 e 3, e forse grazie all'essersi evitati il gravoso compito della regia, i Wachos tornano in carreggiata, anzi, in corsia preferenziale con "V per Vendetta", film da loro sceneggiato e diretto dal protegè Jason McTeague, già aiuto regista negli ultimi due episodi della saga di Neo.
Ebbene, sono entrato al cinema con un po' di pregiudizi: uno positivo, due negativi. Da fan di fumetti sin dalla tenera età, e da fan della penultima ora di Alan Moore, probabilmente il più grande scrittore di fumetti vivente, mi aspettavo un film con una grande storia. Davvero, ho letto il fumetto pochi mesi or sono, ed è davvero qualcosa di inaspettato, di grandissimo, di spiazzante, talmente e cinicamente vicino non solo al vero (specie grazie a personaggi che bucano davvero la pagina), ma alla possibile, alla probabile, all'imminente (?) realtà. Proprio "a causa" della grandeur della graphic novel originale, mi aspettavo di essere tradito da un adattamento riduttivo e sempliciotto, basato tutto sulla carica cool di un personaggio dannatamente figo come quello di V. Basti vedere l'esempio precedente di "estrapolazione" di Moore: il pessimo La Lega degli Uomini Straordinari, di cui non ho ancora letto il fumetto originale, ma di cui ho percepito fin dal primo fotogramma la lontananza dall'originale. Più che percepito, l'ho disperatamente sperato. E finchè non mi toglierò anche questo sassolino, sarò sicuro che sia così. Il fatto è che proprio la mediocrità di quest'ultimo film ha decretato il disinteressamento da parte di Moore verso ogni adattamento cinematografico: "se fa schifo, la colpa è vostra; se è un capolavoro, la colpa è vostra."
Il secondo pregiudizio riguardava soprattutto i Wachos: dopo due prove così mediocri, avrebbero reso merito a un masterpiece del genere?
Con mia stessa sorpresa, la risposta è stata sì. Un sì ampio, convinto e sorridente.
V for Vendetta è una storia che probabilmente va ogni medium in cui sia stata incarnata. Probabilmente, è il Farhenheit 451 o 1984 di fine XX/inizio XXI secolo, ma con una carica emotiva e (politicamente/socialmente) destabilizzante 1000 volte più potente. Merito di un Moore che ha saputo tradurre in fumetto un futuro tridimensionale su un supporto bidimensionale (e bicolore, almeno per l'edizione originale) come il fumetto, ma merito anche della squadra Wachowski/McTeague che ha saputo sapientemente tradurre qualcosa di tanto grande e tanto profondo, non solo in un film convincente, ma probabilmente neanche solo un film e neanche solo convincente. V è un simbolo immortale. Grazie al film, grazie a questa uncompromising vision of the future, lo sarà ancora di più, e per molte più persone, a questo punto.
I discorsi politici-ideologici li lascio alla vostra sensibilità di spettatori, ma, soprattutto, di uomini e donne che vivono in un mondo PERICOLOSAMENTE vicino a quello descritto dal film (e a questo riguardo vi rimando ai deliri mentali di una pazza: qui). Li lascio a voi, perchè ve lo meritate. Se davvero ci vedete quello che c'ho visto io, ve lo meritate.
Piccoli appunti: fotografia stupenda, non c'è che dire, forse un minimo troppo patinata in alcune parti; interpretazioni davvero convincentissime, specie V (Hugo Weaving, l'ex Agente Smith dei Matrix -- personaggio che curiosamente si riaffaccia in alcuni dei dialoghi tortuosi e stranamente affascinanti di V), ma notevoli anche Natalie Portman, nel ruolo di Evey (con quel visino può fare qualsiasi cosa...), Stephen Rea (Finch), e un John Hurt (Sutler, l'Alto Cancelliere) davvero potentissimo (aspetto con ansia di vedere l'originale per godermelo in pieno); buona la colonna sonora dell'italianissimo Marianelli, recentemente nominato anche all'oscar per Orgoglio e Pregiudizio, soprattutto con quel tema stupendo che ha sottolineato l'ultimo incontro tra Evey e V. Scelta davvero azzeccata quella dello humor nero/sarcasmo che ha attraversato molte scene del film (che, sebbene in parte già presente nel fumetto, i Wachos hanno sottolineato con i loro dialoghi magnificamente prolissi) e che ha reso il tutto davvero molto più inquietante, "vicino" e crudele.
Davvero un film di una potenza strabiliante. Davvero un fumetto di una potenza strabiliante.
E guardatelo, il vostro io sociale-politico-umano non chiede nient'altro.

Freak Out,
Paolus!