buzzoole code A Paul's Life: ottobre 2008

venerdì 31 ottobre 2008

Marchettoni!

Allora, parallelamente a quanto fatto sul FacciaLibro, inauguro la sezione in cui pubblicizzo le mie amene produzioni apparse in giro per la rete.
Iniziamo con l'ultima ad apparire, ma una delle prime cose scritte per la mai troppo pubblicizzata Glamazonia.it: trattasi del megaspeciale dedicato al Trentennale di Star Wars, che cadeva il 25... maggio... 2008. Per fortuna è uscito The Clone Wars a salvarci la faccia... è uscito... un mese fa.
Il megaspeciale comprende una ministoria editoriale dei fumetti starwarsiani, una breve guida ai fumetti completa di cronologia (curata insieme all'instancabile Umberto Rossolini) e una finestra sulle Guerre dei Cloni, che praticamente sono quelle guerre lì dove ZAM... SWWWWUNNNNN... PUTRISH... KAMBAZALLABOOOM!

mercoledì 29 ottobre 2008

Attenti ai gatti che vomitano sangue!

Come da titolo...

Se siete lettori di Lanterna Verde, attenzione agli eventuali spoiler
(da Final Crisis: Rage of the Red Lanterns #1
di Geoff Johns e Shane Davis)

domenica 19 ottobre 2008

Haiku 1

Scrivi nel nome
la foggia del fiore
appena sbocciato

Io so

Io so e ho le prove. Io so come hanno origine le economie e dove prendono l'odore. L'odore dell'affermazione e della vittoria. Io so cosa trasuda il profitto. Io so. E la verità della parola non fa prigionieri perché tutto divora e di tutto fa prova. E non deve trascinare controprove e imbastire istruttorie. Osserva, soppesa, guarda, ascolta. Sa. Non condanna in nessun gabbio e i testimoni non ritrattano. Nessuno si pente. Io so e ho le prove. Io so dove le pagine dei manuali d'economia si dileguano mutando i loro frattali in materia, cose, ferro, tempo e contratti. Io so. Le prove non sono nascoste in nessuna pen-drive USB celata in buche sotto terra. Non ho video compromettenti in garage nascosti in inaccessibili paesi di montagna. Né possiedo documenti ciclostilati dei servizi segreti. Le prove sono inconfutabili perché parziali, riprese con le iridi, raccontate con le parole e temprate con le emozioni rimbalzate su ferri e legni. Io vedo, trasento, guardo, parlo, e così testimonio, brutta parola che ancora può valere quando sussurra: "È falso" all'orecchio di chi ascolta le cantilene a rima baciata dei meccanismi di potere. La verità è parziale, in fondo se fosse riducibile a formula oggettiva sarebbe chimica. Io so e ho le prove. E quindi racconto. Di queste verità.

Cerco sempre di calmare quest'ansia che mi prende ogni volta che cammino, ogni volta che salgo scale, prendo ascensori, quando struscio le suole su zerbini e supero soglie. Non posso fermare un rimuginio d'anima perenne su come sono stati costruiti palazzi e case. E se poi ho qualcuno a portata di parola riesco con difficoltà a trattenermi dal raccontare come si tirano su piani e balconi sino al tetto. Non è un senso di colpa universale che mi pervade, né un riscatto morale verso chi è stato cassato dalla memoria storica. Piuttosto cerco di dismettere quel meccanismo brechtiano che invece ho connaturato, di pensare alle mani e ai piedi della storia. Insomma più alle ciotole perennemente vuote che portarono alla presa della Bastiglia che ai proclami della Gironda e dei Giacobini. Non riesco a non pensarci. Ho sempre questo vizio. Come qualcuno che guardando Vermeer pensasse a chi ha mescolato i colori, tirato la tela coi legni, assemblato gli orecchini di perle, piuttosto che contemplare il ritratto. Una vera perversione. Non riesco proprio a scordarmi come funziona il ciclo del cemento quando vedo una rampa di scale, e non mi distrae da come si mettono in torre le impalcature il vedere una verticale di finestre. Non riesco a far finta di nulla. Non riesco proprio a vedere solo il parato e penso alla malta e alla cazzuola. Sarà forse che chi nasce in certi meridiani ha rapporto con alcune sostanze in modo singolare, unico. Non tutta la materia viene recepita allo stesso modo in ogni luogo. Credo che in Qatar l'odore di petrolio e benzina rimandi a sensazioni e sapori che sanno di residenze immense, occhiali da sole e limousine. Lo stesso odore acido del carbonfossile, a Minsk, credo rimandi a facce scure, fughe di gas, e città affumicate mentre in Belgio rimanda all'odore d'aglio degli italiani e alla cipolla dei maghrebini. Lo stesso accade col cemento per l'Italia, per il mezzogiorno. Il cemento. Petrolio del sud. Tutto nasce dal cemento. Non esiste impero economico nato nel mezzogiorno che non veda il passaggio nelle costruzioni: gare d'appalto, appalti, cave, cemento, inerti, malta, mattoni, impalcature, operai. L'armamentario dell'imprenditore italiano è questo. L'imprenditore italiano che non ha i piedi del suo impero nel cemento non ha speranza alcuna. È il mestiere più semplice per far soldi nel più breve tempo possibile, conquistare fiducia, assumere persone nel tempo adatto di un'elezione, distribuire salari, accaparrarsi finanziamenti, moltiplicare il proprio volto sulle facciate dei palazzi che si edificano. Il talento del costruttore è quello del mediatore e del rapace. Possiede la pazienza del certosino compilatore di documentazioni burocratiche, di attese interminabili, di autorizzazioni sedimentate come lente gocce di stalattiti. E poi il talento di rapace, capace di planare su terreni insospettabili sottrarli per pochi quattrini e poi serbarli sino a quando ogni loro centimetro e ogni buco divengono rivendibili a prezzi esponenziali. L'imprenditore rapace sa come usare becco e artigli. Le banche italiane sanno accordare ai costruttori il massimo credito, diciamo che le banche italiane sembrano edificate per i costruttori. E quando proprio non ha meriti e le case che costruirà non bastano come garanzie, ci sarà sempre qualche buon amico che garantirà per lui. La concretezza del cemento e dei mattoni è l'unica vera materialità che le banche italiane conoscono. Ricerca, laboratorio, agricoltura, artigianato, i direttori di banca li immaginano come territori vaporosi, iperurani senza presenza di gravità. Stanze, piani, piastrelle, prese del telefono e della corrente, queste le uniche concretezze che riconoscono. Io so e ho le prove. So come è stata costruita mezz'Italia. E più di mezza. Conosco le mani, le dita, i progetti. E la sabbia. La sabbia che ha tirato su palazzi e grattacieli. Quartieri, parchi, ville. A Castelvolturno nessuno dimentica le file infinite dei camion che depredavano il Volturno della sua sabbia. Camion in fila, che attraversavano le terre costeggiate da contadini che mai avevano visto questi mammut di ferro e gomma. Erano riusciti a rimanere, a resistere senza emigrare e sotto i loro occhi gli portavano via tutto. Ora quella sabbia è nelle pareti dei condomini abruzzesi, nei palazzi di Varese, Asiago, Genova. Ora non è più il fiume che va al mare, ma il mare che entra nel fiume. Ora nel Volturno si pescano le spigole, e i contadini non ci sono più. Senza terra hanno iniziato ad allevare le bufale, dopo le bufale hanno messo su piccole imprese edili assumendo giovani nigeriani e sudafricani sottratti ai lavori stagionali, e quando non si sono consorziati con le imprese dei clan hanno incontrato la morte precoce. Io so e ho le prove. Le ditte d'estrazione vengono autorizzate a sottrarre quantità minime, e in realtà mordono e divorano intere montagne. Montagne e colline sbriciolate e impastate nel cemento finiscono ovunque. Da Tenerife a Sassuolo. La deportazione delle cose ha seguito quella degli uomini. In una trattoria di San Felice a Cancello, ho incontrato don Salvatore, vecchio mastro. Una specie di salma ambulante, non aveva più di cinquantanni, ma ne dimostrava ottanta. Mi ha raccontato che per dieci anni ha avuto il compito di smistare nelle impastatrici le polveri di smaltimento fumi. Con la mediazione delle ditte dei clan lo smaltimento occultato nel cemento è divenuta la forza che permette alle imprese di presentarsi alle gare d'appalto con prezzi da manodopera cinese. Ora garage, pareti e pianerottoli hanno nel loro petto i veleni. Non accadrà nulla sin quando qualche operaio, magari maghrebino, inalerà le polveri crepando qualche anno dopo e incolperà la malasorte per il suo cancro.

Io so e ho le prove. Gli imprenditori italiani vincenti provengono dal cemento. Loro stessi sono parte del ciclo del cemento. Io so che prima di trasformarsi in uomini di fotomodelle, in manager da barca, in assalitori di gruppi finanziari, in acquirenti di quotidiani, prima di tutto questo e dietro tutto questo c'è il cemento, le ditte in subappalto, la sabbia, il pietrisco, i camioncini zeppi di operai che lavorano di notte e scompaiono al mattino, le impalcature marce, le assicurazioni fasulle. Lo spessore delle pareti è ciò su cui poggiano i trascinatori dell'economia italiana. La costituzione dovrebbe mutare. Scrivere che si fonda sul cemento e sui costruttori. Sono loro i padri. Non Ferruccio Parri, non Luigi Einaudi, non Pietro Nenni, non il comandante Valerio. Furono i palazzinari a tirare per lo scalpo l'Italia affossata dal crac Sindona e dalla condanna senza appello del Fondo Monetario Internazionale. Cementifici, appalti, palazzi e quotidiani.

Nell'edilizia finiscono gli affiliati al giro di boa. Dopo che si fa una carriera da killer, da estorsore o da palo, si finisce nell'edilizia o a raccogliere spazzatura. Piuttosto che filmati e conferenze a scuola, potrebbe essere interessante prendere i nuovi affiliati e portarli a fare un giro per cantieri mostrando il destino che li attende. Se galera e morte dovessero risparmiarli staranno su un cantiere, invecchiando e scatarrando sangue e calce. Mentre imprenditori e affaristi che i boss credevano di gestire avranno committenze milionarie. Di lavoro si muore. In continuazione. La velocità di costruzioni, la necessità di risparmiare su ogni tipo di sicurezza e su ogni rispetto d'orario. Turni disumani nove-dodici ore al giorno compreso sabato e domenica. Cento euro a settimana la paga con lo straordinario notturno e domenicale di cinquanta euro ogni dieci ore. I più giovani se ne fanno anche quindici. Magari tirando coca. Quando si muore nei cantieri, si avvia un meccanismo collaudato. Il corpo senza vita viene portato via e viene simulato un incidente stradale. Lo mettono in un'auto che poi fanno cadere in scarpate o dirupi, non dimenticando di incendiarla prima. La somma che l'assicurazione pagherà verrà girata alla famiglia come liquidazione. Non è raro che per simulare l'incidente si feriscano anche i simulatori in modo grave, soprattutto quando c'è da ammaccare un'auto contro il muro, prima di darle fuoco con il cadavere dentro. Quando il mastro è presente il meccanismo funziona bene. Quando è assente spesso il panico attanaglia gli operai. E allora si prende il ferito grave, il quasi cadavere e lo si lascia quasi sempre vicino a una strada che porta all'ospedale. Si passa con la macchina si adagia il corpo e si fugge. Quando proprio lo scrupolo è all'eccesso si avverte un'autoambulanza. Chiunque prende parte alla scomparsa o all'abbandono del corpo quasi cadavere sa che lo stesso faranno i colleghi qualora dovesse accadere al suo corpo di sfracellarsi o infilzarsi. Sai per certo che chi ti è a fianco in caso di pericolo ti soccorrerà nell'immediato per sbarazzarsi di te, ti darà il colpo di grazia. E così si ha una specie di diffidenza nei cantieri. Chi ti è a fianco potrebbe essere il tuo boia, o tu il suo. Non ti farà soffrire, ma sarà colui che ti lascerà crepare da solo su un marciapiede o ti darà fuoco in un'auto. Tutti i costruttori sanno che funziona in questo modo. E le ditte del sud danno garanzie migliori. Lavorano e scompaiono e ogni guaio se lo risolvono senza clamore. Io so e ho le prove. E le prove hanno un nome. In sette mesi nei cantieri a nord di Napoli sono morti quindici operai edili. Caduti, finiti sotto pale meccaniche, o spiaccicati da gru gestite da operai stremati dalle ore di lavoro. Bisogna far presto. Anche se i cantieri durano anni, le ditte in subappalto devono lasciar posto subito ad altre. Guadagnare, battere cassa e andare altrove. Oltre il 40 per cento delle ditte che operano in Italia sono del sud. Agro aversano, napoletano, salernitano. A sud possono ancora nascere gli imperi, le maglie dell'economia si possono forzare e l'equilibrio dell'accumulazione originaria non è stato ancora completato. A sud bisognerebbe appendere, dalla Puglia alla Calabria, dei cartelloni con il BENVENUTO per gli imprenditori che vogliono lanciarsi nell'agone del cemento e in pochi anni entrare nei salotti romani e milanesi. Un BENVENUTO che sa di buona fortuna dato che la ressa è molta e pochissimi galleggiano sulle sabbie mobili. Io so. E ho le prove. E i nuovi costruttori, proprietari di banche e di panfili, principi del gossip e maestà di nuove baldracche celano il loro profitto. Forse hanno ancora un'anima. Hanno vergogna di dichiarare da dove vengono i propri guadagni. Nel loro paese modello, negli USA, quando un imprenditore riesce a divenire riferimento finanziario, quando raggiunge fama e successo accade che convoca analisti e giovani economisti per mostrare la propria qualità economica, e svelare le strade battute per la vittoria sul mercato. Qui silenzio. E il danaro è solo danaro. E gli imprenditori vincenti che vengono dall'aversano, da una terra malata di camorra, rispondono senza vergogna a chi li interroga sul loro successo: "Ho comprato a dieci e venduto a trecento". Qualcuno ha detto che a sud si può vivere come in un paradiso. Basta fissare il cielo e mai, mai osare guardare in basso. Ma non è possibile. L'esproprio d'ogni prospettiva ha sottratto anche gli spazi della vista. Ogni prospettiva si imbatte in balconi, soffitte, mansarde, condomini, palazzi abbracciati, quartieri annodati. Qui non pensi che qualcosa possa cascare dal cielo. Qui scendi giù. Ti inabissi. Perché c'è sempre un abisso nell'abisso. Così quando calpesto scale e stanze, quando salgo negli ascensori, non riesco a non sentire. Perché io so. Ed è una perversione. E così quando mi trovo tra i migliori e vincenti imprenditori non mi sento bene. Anche se questi signori sono eleganti, parlano con toni pacati, e votano a sinistra. Io sento l'odore della calce e del cemento, che esce dai calzini, dai gemelli di Bulgari, dalle loro librerie. Io so. Io so chi ha costruito il mio paese e chi lo costruisce anche adesso. So che stanotte parte un treno da Reggio Calabria che si fermerà a Napoli a mezzanotte e un quarto e sarà diretto a Milano. Sarà colmo. E alla stazione i furgoncini e le Punto polverose preleveranno i ragazzi per nuovi cantieri. Un'emigrazione senza residenza che nessuno studierà e valuterà poiché rimarrà nelle orme della polvere di calce e solo lì. Io so qual è la vera Costituzione del mio tempo, qual è la ricchezza delle imprese. Io so in che misura ogni pilastro è il sangue degli altri. Io so e ho le prove. Non faccio prigionieri.

(da Gomorra di Roberto Saviano)

mercoledì 8 ottobre 2008

It sucks

"I hated a STAR WARS. That fucking sucks."
Harry Knowles, Ain't It Cool News

Oggi ho avuto modo di vedere Star Wars: The Clone Wars.
Molti di voi sanno già quale sia il mio amore per le Guerre Stellari, e il mio livello di sopportazione per le boiate di Lucas. Però stavolta no.
Le Guerre dei Cloni hanno perso charme. Eufemismo per "hanno rotto il cazzo": per tre anni fumetti cartoni e belle cose. Cartoni stupendi. Fumetti belli. Ma poi basta. E già un punto in meno per TCW.
Poi: in un film di un'ora e mezza, un'ora e un quarto è occupata da interminabili schermaglie. Se non sono battaglie campali, spettacolari ma legnose (nonostante il simpatico effetto realtà della camera a mano), sono duelli a spade laser che sono pure belli da vedere, ma non hanno niente da trasmettere. Nessuna tensione: sappiamo già da prima di entrare in sala chi vive, chi muore e come, quando, perchè. E non c'è più neppure la curiosità dei prequel del "vediamo come siamo arrivati a quel punto...". C'è il vuoto ermetico della freddezza, la tiepida morsa dell'abbiocco.
Ma non parliamo dei dialoghi, ridicoli quando seri, agghiaccianti quando comici (e Puzzolo più i droidi imbranatoni, ammettiamolo, compongono il Jar Jar Binks del post Episodio I). Non parliamo del plot, dove tutto è intercambiabile. Non parliamo dell'animazione, dove la pure ammirabile operazione estetica (3D con bellissime texture finto dipinto) ha dato alla testa alla manovalanza della LucasFilm Animation, che fa muovere i suoi balocchi a nervosi scatti che più che ricordare le due stupende serie di Tartarovsky, lo fanno amaramente rimpiangere.
Sarò qui a seguire la serie, forse. Ma Lucas... mavaaacagheeeeeeeeer

(dacci piuttosto i tuoi cazzo di film d'arte che vuoi fare da anni, va, vecchio pirlone)