Quella che vedete alla vostra sinistra, cari signori, è la copertina di un malloppone di 500 pagine (forse riuscite a intravedere la dicitura nell'immagine) contenente 49 storie dell'Uomo d'Acciaio, originariamente pubblicate nei numeri di Action Comics e Superman usciti a cavallo tra il giugno 1958 e il novembre 1959.
Acquistato nel settembre 2006, soltanto pochi giorni fa, il 25 giugno 2007, il vostro valente blogger è riuscito a voltare anche l'ultima pagina e rimetterlo in libreria a riposare per un po'... ok, non contando il fatto che in questo momento è qui accanto a me.
Ora, così sembra sia stata una sofferenza immane, ma, beh... piacere mio, Signora Silver Age, questo è poco ma sicuro.
L'immane e meraviglioso malloppo raccoglie e celebra in un'edizione sì economica ma coi fiocchi le prime storie Silver Age dell'Azzurrone, storie che hanno cementato buona parte del cast di comprimari e della "mitologia" del supereroe, del materiale che è in parte sopravvissuto anche oltre alla rivoluzione di Crisis, almeno per alcuni caratteri generali. Senza perdersi in complesse disamine nerdish, sappiate che nel volume regna e fiorisce l'ingenuità narrativa più pura. In senso positivo ovviamente. Ogni storia segue il più classico schema delle storie del periodo (minaccia inizialmente ineluttabile superata dall'astuzia e dalla forza dell'Eroe, e annessi), e ovviamente anche gli stilemi (narrazione autoconclusiva [tranne in un caso] o in brevi parti contenute nello stesso numero, storytelling compressissimo ma altrettanto limpido, dialoghi di rado tanto deliziosamente pletorici), ma tutte imperniate su idee l'una più "assurda" della successiva (e qui, cari Vertigo-dipendenti, sense of wonder a manetta), e tutte risolte con espedienti altrettanto (se non di più) surreali e fantasiosi (nonchè spassosissimi, leggere per credere). E, in particolare, viene il sospetto che Otto Binder, autore di molte delle storie contenute, si fumasse l'impossibile (e forse la roba girava anche parecchio tra i colleghi, visti i risultati...). Continuity? Il minimo essenziale. Realismo? Sono gli anni 50, baby! Personaggi a tinte fosche? Vada per un Lex Luthor scienziato pazzo o per un inarrestabile Brainiac. Questo era la Silver Age pre-Marvel: storie brevi o brevissime, un gruppo minimo di personaggi ricorrenti legati indissolubilmente a leit-motiv irrisolvibili (ad esempio, l'amore poco corrisposto di Lois Lane per Superman, l'identità segreta di Clark Kent...), e, soprattutto, l'iconico, indistruttibile e intelligentissimo eroe protagonista, che, alla fine dell'episodio, "saves the day", riportando lo status quo. Il tutto in un'atmosfera di generale "luminosità" e leggerezza, di fiducia nel mondo, di positività. Niente tematiche scomode, il Comics Code lo impediva; molta sci-fi anni 50, anche perchè era il periodo del boom dei drive-in, dei film, delle riviste e dei romanzi fantastici, e questo materiale andava via come il pane, specie tra giovani e giovanissimi (eh, quando i fumetti erano ancora quasi solo per ragazzi...); molta sospensione dell'incredulità; molta autoironia da parte degli autori, e storie divertentissime, vere e proprie "favole della buonanotte" moderne (almeno, io le ho consumate così...). Certo, poi venne Stan, e fra Fantastici Quattro e compagnia questa impostazione andò lentamente scemando, con una sempre più forte impronta soap-operistica (e con questo termine intendo serialità, con sottotrame che si dipanano per più numeri, storie sempre meno autoconclusive e indipendenti), con universi narrativi coerenti e sempre più "realistici". E questa è solo una constatazione, non voglio dare giudizi di valore o scegliere fazioni, perchè sono entrambe impostazioni che apprezzo, fintanto che non scadono nell'autoreferenzialità più becera e miope (vero, signor DiDio?). Perchè, come ogni produzione artistica e commerciale, anche il fumetto non può prescindere dal contesto socioculturale in cui è immerso, ma soprattutto dalla volontà degli autori di divertire il proprio pubblico nel modo più efficace possibile. E con il minor numero di pretese possibili (e anche qui, dipende dai contesti). Tornando a noi, dopo questo compendio di ovvietà a beneficio dei meno esperti di fumetti, come posso esimermi dal parlare degli stupendi disegni racchiusi nel volume? Voglio dire, come tacere questi tratti di una sapienza invidiabile (anche se in fatto di dinamicità c'era ancora da imparare, l'era Kirby era alle porte...) di maestri come Al Plastino, Wayne Boring, Curt Swan, coadiuvati dalle chirurgiche e morbide chine di Stan Kaye? Cioè, nomi per voi assolutamente fuori dall'Universo, magari, ma gente che nel mestiere metteva l'anima, e si vede.
Insomma, questo volume è il classico jam-packed di azione, divertimento, fantasia e quella punta di romanticismo vecchia maniera che non fa mai male. Una gioia per gli occhi, una delizia per la mente, da consumarsi piano piano appena prima di spegnere il lume sul comodino. Giusto giusto per sognare meglio.
Beh, che dire... magari un post e una lettura con davvero poco appeal per i meno affiatati al mondo di carta e china (ho cercato di essere il più didascalico possibile solo per voi, belli di mamma)... e anche una difficile chiusura, indubbiamente... però, boh... son cose che aiutano a sognare. Spero di aver trasmesso un minimo dell'entusiasmo che mi ha percorso durante questa lunga cavalcata nel passato (cavalcata che andrà avanti, visto che ho qua accanto altri due matrangoni di 500 pagine l'uno...), e... boh... mi sembra di aver scritto un post inutile, ma glielo dovevo.
Balbettando, balbettando,
Freak Out!