buzzoole code A Paul's Life

venerdì 1 luglio 2011

Cercare la lucidità

Scrivere è una cosa difficile. Anche quando ti viene relativamente facile.
Non c'è assolutamente giusto o sbagliato. Qualunque saldatura di parole - anche questa - è in qualche modo un salto nel buio.
Però non ne prescindo.
Scrivere è una parola entrata molto in questo blog, e anche nel suo fratellino DoubleFeature, come anche sul mio facebook, e sul tumblr e quant'altro. Scrivere è tutto lo spazio che c'è tra pensare e inventare, e si concretizza grazie a delle lettere che si inseguono, che inseguono se stesse e l'ideale all'orizzonte. A un orizzonte drammaticamente vicino.
Scrivere è una stupenda maledizione.


Come sapete, scrivo di musica. Scrivere di musica non è sempre soddisfacente – anzi, quasi mai. Certo, ci si può sempre accontentare di buttar giù qualche migliaio di caratteri spremendosi in elucubrazioni più o meno pindariche, in indecisioni risolte con le solite formule di rito o in sintesi ingenerose e saccenti – di fatto, proponendo alla posterità temini da prima liceo. Non è sempre soddisfacente, dicevo, perché avvertiamo una responsabilità, una compartecipazione alle sorti dell’oggetto di cui scriviamo. Che, fatalmente, rimane fuori fuoco. Fluido.
Non è soddisfacente proprio per questa compartecipazione, che vogliamo vera. Vogliamo che l'opera sia anche nostra, vogliamo prenderci un po' di merito - se questa è buona -, sia attraverso una lettura più "completa", obliqua. Nuova.
Non va così. È tutta illusione.
Dobbiamo gettarci nel nuovo.
Rischiare.
Digerire il nostro oggetto di desiderio demiurgico - la proverbiale "canzone che avremmo voluto scrivere" - e buttarci nel nuovo. Plasmare davvero le parole, le immagini. Le idee.

Oppure no, oppure cercare la lucidità. La parola come luce tra i pensieri.


Ci vuole tempo e dedizione per tutto questo. Anzi, ce ne vuole per farlo qui.
Non è mai voluto essere un diario - anche se per un po' avrebbe potuto diventarlo, anche se in alcune occasioni un po' lo è stato -, non è mai voluto essere un dietro le quinte della mia vita (nonostante il titolo ingannevole): era un posto dove mi concedevo di pensare. Però, per l'appunto, non mi viene più naturale farlo qui. Per cui, tanto vale chiudere bottega.


Questo blog ha sinceramente fatto il suo tempo. Non so mai cosa scriverci, non so mai cosa ci vuole.
Ci voglio la lucidità, ma non ho mai tempo per rincorrerla. Non ho mai tempo per scrivere qui dentro come vorrei scriverci.
Per cui, decisione istintiva.
Si trasferisce tutto, baracche e burattini, al vicino prossimo, al TumblR di cui sotto: http://www.tumblr.com/tumblelog/paolodales... Uno strumento forse meglio integrabile a quello che voleva diventare A Paul's Life.
Non prendiamoci in giro. Questa è la lucidità che mi regalo stasera - l'apice di un periodo di cose in cambiamento pesante.

A Paul's Life va in animazione sospesa...
Beeeeeeep




venerdì 26 novembre 2010

Fratellini

Non so perchè, ma mi sono completamente dimenticato di notificare la nascita di due fratellini di A Paul's Life!

1) Il grandissimo, unico e momentaneamente in ferie Double Feature, che ospita quello che questo blog ha cercato disperatamente di ospitare, senza successo: le recensioni. Di tutti i tipi, senza alcuno scopo. Godetene su http://dabolfitur.blogspot.com/

2) A Paul's Mini Life sta a A Paul's Life come Mini-Me sta a Dr. Evil. Lui sta qui, e fatene buon uso.

Ci si risente per Natale, fratelli.

mercoledì 20 ottobre 2010

Cogli l'attimo, responsabilmente

(gentilmente offerto dalla Società Italiana degli Auto-Motivational Speeches)
 
Illudiamoci che le cose siano semplici come possono sembrare. Che sia davvero tutta questione di "cogliere l'attimo". Che dietro a questo pulsare stupendo non ci sia altro che quello che vediamo.
E allora, dove va a finire il resto? Quello che non succede ma c'è, cosa significa? E quello che succede, si esaurisce tutto a se stesso? Tutto ha la stessa importanza?
No.
Io mi rifiuto di crederlo. 
Io mi rifiuto di credere che il momento in cui mi sono commosso per una puttanata sia importante quanto quello in cui mi sono lavato i denti stamattina. Non è possibile.
Io mi rifiuto di credere di dover passare l'esistenza a premere centomila acceleratori. Io voglio anche annoiarmi. Io voglio anche fermarmi e guardarmi indietro. Io voglio provare anche a sbirciare più in là.
Non riesco proprio a cogliere tutti gli attimi perchè sono tutti importanti, fatemi cogliere quelli che mi piacciono. Quelli che hanno un senso più grande, più largo, più lungo e più profondo. Quelli in cui posso respirare, e non pensare al fiato corto del minuto che sta arrivando e che vuole essere goduto anche lui. Me lo godo se se lo merita. Me lo godo se me lo merito.
E a scegliere gli attimi forse c'è bisogno di farsi un po' di domande, altrochè. Di fermarsi. Di lasciare qualche attimo non colto, perchè magari non ne val la pena. Farsi sorpassare. Non farsi soddisfare del tutto. C'è bisogno di bucare la superficie del momento che preferisci, interpretarlo, assaggiarlo un attimo prima di ingurgitarlo.
E, certo, sembra inutile, sembra una perdita di tempo, sembra difficile. O magari sembra facile e codardo.
Ma perchè deve essere sempre tutto utile? Perchè devo limitarmi a quello che capisco o che riesco a intuire sul momento? Perchè non posso complicarmi la vita?
Io la vita voglio complicarmela! Voglio complicarmela perchè è già complessa e se la semplifico troppo... forse mi sto prendendo in giro da solo. Come la sopporto una cosa tanto complessa? La smonto e la rimonto come voglio.
Ma tutto questo smontare e rimontare avrà un prezzo, prima o poi. Un po' si perde il contatto con l'autentico, un po' si fatica a possederlo. Cose che vengono difficili.
Ma io ho un obiettivo.

Io, se il mondo ha pazienza, posso provare a salvare capra e cavoli.
Riuscire a osservare il mondo, la vita e tutto il resto come complesso e continuare a fingere di non capirlo, mentre lo accetto come spontaneo e vivo e sanguino mentre parlo e voglio bene al prossimo e lo perdono anche se non sto cercando di driblarlo.
Questa è la nuova frontiera.
Siete tutti invitati.

sabato 18 settembre 2010

Nessuno ha più voglia di scrivere

Secondo un saggio che conosco, chi si accontenta copre. Copre in quel senso lì brutto, avete capito bene. Cioè, bello. Cioè, avete capito... nel senso erotico del termine. Pensare che erotico era un mezzo insulto, una volta. Te lo vedi uno un po' con le stimmate del buliccio per strada, e tutti i signori in pipa e fedora che gli gridano Uè, guardate quell'erotico! Vabbé che la fedora fa stilosismo, fa finezza psico-posturale, fa sospensione da campo lungo, carrellata laterale e bianco e nero...
Nessuno ha più voglia di scrivere, e mi sa neanch'io, ma gesù quant'è bello il suono dei tasti e la canotta della mezzanotte e mezza e la voglia di wurstel e senape sotto il palato, che gorgoglia anche lo stomachino qui, e quasiquasi... quant'è bello che scimmiottare i romantici alla fine abbia ancora senso, e ammiccare al Bukowski che maledetto è più sano, anche se qui si è senza cirrosi, senza catrame e senza boh da scrivere. Battere a caso, a un caso e mezzo, quel che suggerisce il cervelletto, filtrarlo appena e sciorinarlo, alla fine allungarlo con la mezza abitudine dell'ordine.
Ci sono più o meno cinque parole che vorrei avere in bocca in questo momento. In sequenza, s'intende. Ma non si possono ancora sguinzagliare, lasciare libere di far danno. Ancora. Per ora sono nascoste al posto dei denti del giudizio che almeno una volta l'anno si mettono a tirare e far male, ma toglierli è troppo inutile perché ne valga la spesa. Sembra che ringhino, ma vogliono accarezzare. Ma poi sembra che ringhino lo stesso e le si manda sempre a cuccia, coda fra le gambe. Non passa anno senza che ci riprovino, non passa anno senza una vasca da svuotare. Neanche il tempo del gorgoglio, e giù il tappo che si riempie ancora.
Chi si accontenta copre, e io non voglio accontentarmi di niente, piuttosto lo spurgo da soli alle sette del mattino come alle tre di notte, piuttosto la sfiga a valanghe e i denti stretti. Piuttosto i calci nel piumone. Piuttosto questa scrittura conto terzi.
Se fosse un mondo perfetto, oggi ci sarebbe la neve e niente strade da attraversare e i guanti grossi e ruvidi che ti gommano le mani, ma in questo mondo perfetto senti e prendi le cose come se le mani fossero solo un po' più grosse e di un colore diverso. Oggi durerebbe un giorno in più, e ci sarebbe qualcuno che mi butta per terra e mi rotola e mi stuzzica alla vendettina, qualcuno che ride e arriccia il naso e si raffredda e dice qualcosa di imprevedibile ed enorme. Qualcuno fatto di colori, e che prende a piacimento la neve e la trasforma nell'alba più bella del mondo sull'erba più vibrante di quelle possibili e non. Qualcuno che ti subaffitta l'anima senza chiedere il permesso e senza firmare il contratto. Qualcuno a cui fare del bene. Qualcuno che lì non c'è, e corre a nascondersi nel sogno dopo.
Io credo che questa pagina non potrà mai finire, io credo che continuerà a nascondersi anche lei, io credo che questo non debba esistere ma se c'è è bello lo stesso. Io credo che se non ho passato logica la ragione è anche questa pagina. Io credo che questa pagina non sia una pagina. Io credo che quello che credo non gliene frega niente a nessuno, e che sembra un po' un discorso masturbatorio tipo Radiofreccia. Io credo che a volte mi giustifico troppo.
Nessuno ha più voglia di scrivere, e chi ce l'ha nasconde un motivo brutto. O non lo nasconde, ma ce l'ha. Io ho sempre cinque parole in bocca e un oceano di parole nella testa, ma qui ne metto solo un po'. Io spero che non vi piacciano, io spero che le capiate ma non abbastanza, io spero che la troviate voi al posto mio l'utilità, se vi serve. Se non vi serve meglio, felice di aver condiviso qualche minuto di incertezza.

Coreografia corale à la Bollywood.

martedì 20 luglio 2010

Una questione di fede

ovvero Mettersi Lost alle spalle

“It only ends once. Anything happens before that it's just progress” (Finisce solo una volta. Qualsiasi cosa succeda prima di allora, è solo progresso).
Lo diceva Jacob, all'inizio della catena di eventi che avrebbe portato un aereo di linea "qualunque" a schiantarsi su un'Isola deserta, e i suoi passeggeri ad affrontare... il miglior periodo delle loro vite. Paradossale, eh?
Non c'è bisogno di dirlo: in questo post noioso, arrogante e prolisso si parla di Lost, di cos'è stato, dell'esperienza intensa di uno dei suoi spettatori più affezionati – e proprio per questo, feroci. Quindi pussa via che poi vi spoilerate.
Dicevamo... eccoci, siamo alla fine del viaggio, forse non completamente soddisfatti – specie del viaggio di ritorno –, ma sani e salvi. E un po' più turbati di quanto credessimo, se tutto è andato come previsto.
Ma cos'è stato Lost, cos'è stato questo pezzo di vita interplanetario?
Oso dire che è stata la conferma definitiva della Magia delle Storie, del loro potere immenso. E, personalmente, la celebrazione del motivo per cui le amo così tanto.
E anche del perchè c'è gente (come il sottoscritto) che vuole guadagnarsi da vivere raccontando al mondo che, in fin dei conti, i suini possono decollare.

La ruota per asini congelata
Partiamo dai danni strutturali.
La solidità di un edificio si vede alla fine della costruzione. Lost è partito con un progetto promettente, dai preventivi il miglior edificio di sempre, ma ogni piano sembra essersi allargato in modo sproporzionato rispetto al precedente. Il risultato è una piramide al contrario conficcata nel terreno. E le piramidi al contrario, si sa - per quanto ben conficcate - cadono.
Alla fine del viaggio, insomma, è evidente come il percorso si sia "perso" rispetto alle premesse: quella che è fondamentalmente una grande storia di maturazione ed elevazione collettiva è stata deviata dalla tensione generata – esattamente come il metano – dallo stratificarsi di intrecci, coincidenze e ammiccamenti a una pesante mitologia (e con mitologia intendo tutti gli elementi che originano e giustificano la storia che ci viene raccontata).
E quali erano le premesse? Prendere un'idea piuttosto banale come quella del naufragio sull'Isola deserta, e aggiornarla alla versione 2.0. Una situazione da Signore delle Mosche diventa una storia di persone in pieno travaglio esistenziale, traghettate attraverso numerose imprese e patimenti a un piano superiore delle loro esistenze. Una tragedia moderna, senza troppi fatalismi e sacrifici, insomma. Il tutto, raccontato portando alle estreme conseguenze lo svilupparsi progressivo di trame e sottotrame. Di questo parleremo meglio più tardi, torniamo ai problemi.
In breve, abbiamo visto una prima stagione eccellente sotto ogni punto di vista, accessibile da vaste fette di pubblico e dalla freschezza del formato, seguita da una seconda stagione eccezionale, coraggiosa e saporita, per portata tematica e scopi raggiunti, probabilmente il condensato dell'intera serie.
Alla terza stagione, l'edificio ha cominciato a mostrare le crepe: la struttura, che necessitava una programmazione chirurgica, si è vista mancare ossigeno per colpa di una limitata lungimiranza, della rete e degli autori. È diventato evidente come il Piano troppo vago e la mancanza di coraggio della rete (David Fury, tra i produttori della sola prima stagione, testimonia come alcuni pesanti accenni all'elemento viaggio nel tempo siano stati sabotati dal network ABC, che temeva che la componente fantascientifica potesse danneggiare gli ascolti all'epoca astronomici) rischiassero di snaturare così tanto la serie da costringere tutti a correre ai ripari, fissando una data di scadenza per l'operazione.
Però il danno era già stato fatto: per usare una terminologia tecnica, era crollata la "sospensione dell'incredulità". In poche parole, lo spettatore medio non riusciva più a essere convinto della "credibilità" di ciò che vedeva, perchè la storia stava letteralmente strabordando rispetto alle sue premesse. Mi sono vantato a lungo di essere un "credente", perchè tutto sommato la faccenda Desmond non mi era mai sembrata così smaccatamente lontana dalle premesse - dopo tutto, c'erano mostri misteriosi che si mangiavano gente fin dalla prima puntata -, ma è una lamentela tutto sommato comprensibile, vista la violenta sterzata con cui il viaggio nel tempo è stato introdotto. Scusate la deviazione..
Da allora, Lost è diventato più organico, certo, ma ha cominciato a impazzire, a perdere l'orientamento. Un esempio su tutti: solo dopo quasi due anni ci si è accorti che la quinta stagione, fondamentalmente, è stata una stagione di allungamento di brodo, che alcune sottotrame erano dei totali vicoli ciechi, nonostante si presentassero come assolutamente indispensabile. E ancora peggio, tutto questo è sfociato nella barata più totale del nesso Incidente-Aldilà (non commenterò oltre la questione, ma tutta la sesta stagione è, da questo punto di vista, una sontuosa presa per il culo).
Il ciclo perverso di Lost è stato alimentato dall'autocompiacimento dei suoi due demiurghi, Damon Lindelof e Carlton Cuse, troppo esaltati dal loro motore narrativo potenzialmente inesauribile. Si è preferito giocare d'accumulo, aggiungere segni ambigui di una mitologia diventata troppo concreta e onnipresente da poter essere credibile (perchè tirare in ballo gli Egizi o i Romani?! È il massimo di arcaico e ancestrale che vi viene in mente per giustificare tutto sto popò di casini?), oltre che, banalmente, risolvibile in termini pratici: certo, tutti si aspettavano di non avere tutte le risposte, ma quantomeno indirizzare le questioni decisive... Beh, molte rimangono sensate anche senza particolari risposte – d'altronde, cercare ogni risposta equivale a rinunciare all'“aura” e magia di molte storie (Alice in Wonderland docet).
Ecco quindi il perchè di un finale perfetto dal punto di vista tematico, ma giunto al culmine con fatica, dopo tre stagioni di progressiva stanchezza, culminate nella pigrizia totale della Stagione Finale.

La Scatola Magica
Parliamo ancora un po' della meccanica che ha reso Lost un prodotto di successo. Come diceva McLuhan, il mezzo è il messaggio, è per Lost è vero fino alle estreme conseguenze.
Cos'è cambiato con Lost? Fondamentalmente niente che non stesse già per accadere, solo che si sono accorciati i tempi.
Se ricordate i telefilm della vostra infanzia (quelli vecchi, come Supercar, Hazzard, La signora in giallo, ecc.), raccontavano fondamentalmente storie autoconcluse (ovvero autonome e risolte nell'ora scarsa del loro svolgimento), con un drappello di personaggi più o meno fissi e bidimensionali, regia e sceneggiature perfettamente lineari e modulari. E per forza di cose, molto ripetitive.
A metà degli anni 80, le cose cominciano a cambiare: le serie televisive americane tentano di diventare più accattivanti, con personaggi più complessi, che spesso attraversano, nell'arco di intere stagioni, cambiamenti anche importanti. È l'inizio della cosìddetta soapizzazione dei serial, con l'introduzione di trame, sottotrame e personaggi a lungo termine, senza però allontanarsi troppo dalla formula autoconclusiva. Un esempio recente: le prime stagioni di House seguivano questa logica.
Sul finire degli anni 90, serial come The Sopranos hanno accantonato l'autoconclusività degli episodi, che diventavano tasselli fondamentali di un disegno più grande. Esattamente come le soap operas.
A metà dei 2000, il passo ulteriore, l'abbandono della linearità. Lost non ha inventato niente, certo, ma ha portato in televisione e a un largo pubblico delle modalità di narrazione da film d'autore (certo, sto esagerando): le già citate linee narrative di lungo respiro vengono tritate e frullate in una narrazione costantemente a due tempi (che sia il presente, il futuro o il “possibile”), investendo molto sulla recettività e sulla fede(ltà) dell'audience (e capitalizzando con intelligenza anche sulla possibilità di ingannarlo, come dimostra il finale della terza stagione), raramente lineare e didascalica, con ellissi a vari livelli. Sembra poco oggi, ma fino a sette, otto anni fa era completamente impensabile per un canale televisivo che è il corrispettivo americano di RaiUno.
Certo, il quid di Lost (del primo Lost, quello delle prime due stagioni), a parte la questione narrativa, sta in una miriade di fattori: nella brillantezza dei personaggi, nel loro essere simbolici e al contempo credibili; nell'altissimo livello medio di scrittura, sorretto a meraviglia da dialoghi vibranti, intreccio puntuale e fresco, quasi la macchina da storie perfetta; nella regia, essenziale ma non ruspante, che sa quando concedersi qualche effetto un po' sborone; nella recitazione vibrante; nelle musiche, le più ispirate e originali da tempo, un'amalgama di armonia e ossessione.
Ma soprattutto lei, la Scatola Magica. Il fascino inesauribile e incontenibile dell'ignoto, un gioco (o una presa in giro) senza fine con ciò che rende l'essere umano una creatura fantastica: la curiosità. Come si diceva, il mezzo è il messaggio: il messaggio di Lost è fondamentalmente di foraggiare la propria spiritualità, di "avere fede" nella propria curiosità, di essere strumenti della propria ricerca personale. E non si chiede nulla di meno nemmeno agli spettatori.
Strano, forse la questione capitale in Lost tra scienza e fede si risolve tutta lì, nella curiosità.

La (nostra) patetica, piccola vita
Nessuna storia è davvero realistica, è impossibile ricreare la realtà quando si racconta una Storia. È per questo che esistono i quotidiani, o i reportage, o i documentari: per raccontare o analizzare certi aspetti della realtà secondo certi punti di vista. Le Storie interpretano la realtà, prendono in prestito alcuni suoi elementi e li rielaborano in una forme più digeribili e/o entusiasmanti, ed è proprio questa forma più semplice e meno problematica a rendere possibile letture diverse a livelli diversi, applicabili anche al quotidiano.
Storie totalmente autoreferenziali o fini a se stesse, appiattite su ciò che rappresentano insomma, o lo sono deliberatamente (e non c'è niente di male) o sono “mal consigliate”. E proprio per questo, le storie, se prese con il giusto peso, hanno un potere che non è solo quello di farci fantasticare o viaggiare o divertire, ma è quello di aiutarci in modo insperabilmente concreto – quasi subliminale - nelle nostre vite. Non si sta parlando di “morale”, attenzione, ma di problemi e questioni che possono presentarcisi davanti a ogni angolo.
Nell'anima di Lost, come già accennato, c'è la volontà di raccontare la storia di persone credibili, certo, ma non reali. Hanno problemi e dilemmi terribilmente vicini ai nostri: come noi sono Perse non solo nello spazio e nel tempo, ma anche in un mondo che ha saggiamente scelto di non essere più regolato da termini etici o sociali assoluti, ma che, forse per pigrizia, non è ancora alla ricerca di valori sostitutivi all'altezza.
Ovvio, non è roba risolvibile per televisione (che ha anche altre esigenze), ma, come si suol dire, sollevare la domanda è più importante dell'avere la risposta. E non è un caso che i riferimenti al mondo della religione, della filosofia e della letteratura siano molteplici.
Ad ogni modo, Lost ha provato a consigliare il senso del Valore in un mondo ormai post-religioso, che pertanto necessita costantemente di ricordare le sue priorità, i suoi punti di orientamento. È per questo che i personaggi hanno origini diverse, percorrono strade così tortuose prima di arrivare al punto dell'illuminazione, di una comprensione superiore, che non è la ricerca tanto di un nirvana o cos'altro... ma in un abbraccio collettivo.
Ma in un mondo post-religioso va sempre e comunque fatto salvo il fatto che nessuno ha mai realmente ragione, ma tutto ha un senso. Neanche io in questo post gargantuelico, per dire. Tutti devono passare attraverso sbagli, illusioni, dolore, peccati, sacrifici, sangue per “guadagnarsi il Paradiso” - comunque lo intendiate.
Cito uno dei manuali di mitologia comparata più famosi e sfruttati da scrittori e narratori in genere, L'eroe dai mille volti di Joseph Campbell: "L'individuo [...] si libera da ogni attaccamento alle proprie limitazioni personali, alle proprie idiosincrasie, speranze e paure, non si oppone più al proprio annullamento, indispensabile per rinascere nella conoscenza della verità, ed è finalmente pronto per la grande conciliazione. Annientate le proprie ambizioni personali, egli non cerca pià la vita, ma spontaneamente si abbandona che può accadergli". È questo il significato di tutte le pratiche religiose, è questo il significato di moltissime Storie.
Che Lost ci sia riuscito a porre la "questione spirituale" in ognuno di noi, penso dipenda da quanto sia riuscito a penetrare nella scorza di ognuno di noi, daquanto sia riuscito a bucare il nostro scetticismo.
Personalmente, molto. Io ho vissuto questi sei anni al fianco di John Locke, nel bene o nel male, c'era qualcosa nelle nostre "sofferenze" di dolorosamente simile, e forse universale. C'era qualcosa nel suo andare avanti nonostante non sapesse la strada, nella sua gratitudine immensa per la nuova possibilità ricevuta, nelle sue crisi di fede... era lì, era vivo, c'ero anch'io in lui.
Va beh, non divaghiamo.













domenica 28 marzo 2010

Malamaronò - Commenti raffreddati sul Festival di Sanremo 2010

È finito. Anche quest'anno tutto il Carrozzone Sanremese è andato a sfrangersi scomposto contro le mie pupille incredule, scavando insperati e deliziosi vertici di trashissimo squallore e di conseguente e autentico divertimento. Ammàzzate che apertura.
Tanto per dimostrarvi che questo blog esiste ancora, eccovi una bella mega-recensione scritta in un mese circa su quello che possiamo oggettivamente definire "il Festival a immagine e somiglianza della sua conduttrice" - con tutto ciò che ne consegue. Nel male.
Neanche da dire, questo intervento lungo e non-richiesto è autorizzato, citando la coppia ormai stabile (alla faccia del rispetto delle tradizioni canoniche di un bigamo, si potrebbe malignamente commentare) Enzo Ghinazzi - Emanuele Umberto Reza Ciro René Maria Filiberto di Savoia, dal fatto che credo nella mia cultura e nella mia religione, per questo io non ho paura di esprimere la mia opinione. Trovate l'intruso.
Passiamo quindi all'argomento regino della kermesse, le canzoni (anche perchè essendo festival della Canzone Italiana, ed essendo io collaboratore di una rivista di musica italiana, non si scappava. Per non far torto a nessuno, andrò in ordine alfabetico per interprete.

Arisa - Malamorenò
L'anno scorso l'abbiamo sperticatamente lodata come nuovo standard della canzone all'italiana. Segretamente, speravamo che sarebbe, col tempo, arrivato un passo in meglio, verso un'autenticità (il vero quid del personaggio Arisa) che non passasse necessariamente attraverso dei pezzi esageratamente ruffiani, orecchiabili fino all'usura e buonistissimi. Niente da fare, si è cavalcata l'onda e Malamorenò fa ammosciare le gonadi. Da antologia lo scenario post-apocalittico in cui <<Può scoppiare in un attimo il sole / Tutto quanto potrebbe finire>> , non fosse che <<A volte basta che ci sei / Perché a me basta che sei qui vicino / Perchè a me basta che ci sei>>. Come direbbe il regista Enzo Castellari: mej cojoni!
Preziose comunque gli interventi delle Sorelle Marinetti, e la versione "aristocats" della serata degli ospiti con Lino Patruno Jazz Band.

Malika Ayane - Ricomincio da qui
Tre minuti e mezzo belli densi per un pezzo scritto a quattro mani dalla splendida Malika e dal prestante Gino "Pacifico" De Crescenzo al testo, servito su una confezioncina musicale sofisticata e vagamente bacharachiana di Ferdinando Arnò. Un brano impalpabile e sorridente, che decoprime quel magnifico istante di incertezza e stupore del realizzare che mannaggia è proprio vero, mi sono innamorato per davvero. Per chi scrive - e non solo - il pezzo qualitativamente migliore del Festival, penalizzato forse dalla mancanza dell'immediatezza e dell'orecchiabilità della hit dell'anno scorso Come foglie - "difetto", se di difetto si tratta, che non ne sta affatto danneggiato le vendite.
Non mi ci soffermo troppo, avrebbe meritato di vincere, perla nello sterco, bla, bla, bla e bla, bla, bla.

Simone Cristicchi - Menomale
Sentendo e leggendo in giro dei commenti su questa canzone, ancora mi stupisco di come a tanta, tanta, tanta gente sia davvero estraneo il concetto di ironia (e non umorismo o semplice comicità, attenzione: intendo, banalizzando, un discorso il cui significato letterale è l'opposto rispetto a quanto realmente si vuole dire), cosa che purtroppo ha penalizzato la percezione di questo pezzo, salutato come banale tormentone da un pubblico impellicciato dall'orecchio evidentemente un po' superficiale, e, ancora, dalla preparazione culturale piuttosto terra-terra.
Oltre a queste notazioni, il brano non è un capolavoro: è l'ennesima incarnazione delle demo-caustiche critiche sociali cristicchiane, ma con un maggior mordente, grazie alla penna acuta di Frankie Hi Nrg al testo e all'innesto crossover di chitarre e fanfara gloriosa nel ritornello.
Vale quindi anche l'opposto del commento iniziale: da alcuni è stato salutato come grande pezzo di critica, quando non ne ha proprio la stoffa, nonostante le liriche abbastanza indovinate (l'accostamento Wojtjla - Bin Laden non l'ha colto praticamente nessuno). Per quanto simpaticamente graffianti, in questo tipo di pezzi semplicemente manca il respiro argomentativo per costruire bene un discorso, che per come è svolto risulta un pochetto qualunquista.

Toto Cutugno - Aeroplani
Lei è una stronza e lo fa soffrire, lui per ricucire adotta la formula scordammoc'o'passate.
Nel processo, Toto riesce a fare esplodere un muscolo cardiaco. Grossa stima. Carissimo, va bene l'amore, ma lo capisci che la scopa nel culo è dietro l'angolo?
Il pezzo è stato palesemente riciclato da un Sanremo del primo millennio a.C., il testo è tirato via e la musica è fin troppo ambiziosa. L'abbiamo visto: Toto, reduce dalla sua malattia, sembra posseduto dal fantasma di Joe Cocker, solo stonato. Cher avrebbe rimediato con un po' di vocoder, ma Cutugnone non si sa limitare e scrive esplicitamente una canzone che non è in grado di cantare. Solidarietà per l'accaduto, ma un po' di dignità...

Nino D'Angelo e Maria Nazionale - Jammo ja
La riscossa del Sud è affidata al Yousson Dour del Golf'e'Nappule, in quella che è chiaramente la risposta a Italia amore mio, per mancanza di autoreferenzialità e vanità. Emerge sanguigno l'impulso a tirarsi su le maniche - sempre dopo il caffè, la pennica, eccetera eccetera. La canzone non brilla per originalità, ma almeno è onesta e non gioca sugli stereotipi e clichè che di solito uccidono nella culla questo tipo di brani (Gigi Finizio, non sei dimenticato, tu e il tuo orgoglio terrone).

Irene Fornaciari feat. Nomadi - Il mondo piange
Lei è la reincarnazione del padre, vocalmente, ma soprattutto fisicamente. Guardatela in faccia, le manca la barba.
Il brano si fa ascoltare: è praticamente un brano dei Nomadi (anche se paradossalmente potevano starsene a casuccia), compreso messaggio di abbraccio universale (che poi, perchè il mondo piange?), con dei punti presi direttamente dal Fornaciari sbagliato. Sì, il padre. Un applauso per la parrucca di Danilo Sacco, che riesce a vibrare anche attraverso il misero verso che gli è stato ritagliato.
Attendiamo il nuovo CD-ROM dei Nomadi, dopo il successo di "Dove si va?".

Irene Grandi - La cometa di Halley
Lei spacca sempre, anche se non si devasta di alcool più come un tempo. Peccato.
Ci riprova la premiata ditta Baustelle-Grandi dopo il successo di Bruci la città, con questo pezzo che di Baustelle ne ha fin troppo. E uno dice: "va beh, che ti lamenti? Mica sono i Finley." E infatti mica mi sto lamentando.
Il testo ha tutto il sapore da ascetico di Piazza Vittoria un po' fissato con la figa di Bianconi (il cantante dei Baustelle), su una relazione amorosa andata a spegnersi nella stanchezza e nelle elucubrazioni di lui. Solo quando lei si rompe il cazzo, lui si sveglia. Ma è troppo tardi. Segue simpatica citazione invertita dei Beatles: "you say goodbye, and i say hello" diventa "io ti dico addio, tu mi dici ciao". E soprattutto non c'è il tutto sesso orale di Bruci la città! Mannaggia a Bianconi!
Fa storcere il naso l'arrangiamento un po' piattuzzo, per un pezzo che diventa prezioso solo perchè spunta dalla media mediocrissima di quest'anno.

Marco Mengoni - Credimi ancora
Parte come l'inferno, sembra che deve spaccare l'Universo. Poi se ne dimentica. E lo immagino, cantare così bene stanca.
Un peccatone, l'xX-Factor (leggasi ex-X-Factor) ha la stoffa per pezzi molto più validi di questo, mediocre testualmente e precocemente appesantito negli arrangiamenti malgrado le piacevoli scaramucce orchestrali sul bridge.

Fabrizio Moro - Non è una canzone
Moro porta la ganja a Sanremo, giusto perchè tra tanti fiori mancava solo quella pianticella lì. Fatti come delle balle di fieno, ecco tutti a ballare tentando una riflessione sull'etica e morale. Purtroppo, anche qui vale un po' il discorso fatto a proposito di Cristicchi, con l'aggravante che metà del testo sembra fatta di parole qualunque piazzate lì ad minchiam, un po' come l'arrangiamento dei fiati sul secondo refrain.

Noemi - Per tutta la vita
Noemi potrebbe cantare all'Osteria di Gigi lo Stronzo e si bagnerebbe anche il forno a legna. Cioè, dai, sentitela, ti graffia le pareti dell'anima.
Vale il discorso di Mengoni, pezzo un po' improvvisato (anche se in suggestivo crescendo), che però lei potenzia a dovere. Questa ragazza ha davvero bisogno di autori seri dietro. Niente doppi sensi, please.
Terza canzone in cui esplode qualcosa, un record positivo per questo Sanremo.

Povia - La verità
La verità è che l'ho ascoltata 13 volte e non ho ancora capito qual è la tesi. Povia è famoso per i suoi pezzi ciellini, poi capziosamente omofobi. Stavolta, quando finalmente deve tirare la bomba da cento... niente, si ritira, dice un po' questo, un po' quello, così ognuno la legge come gli pare, basta "l'argomento" a fare pubblicità. E le violoncelliste fighe.
Il mio sospetto è questo: secondo Povia, il pericolo principale dell'interruzione dell'accanimento terapeutico è che lo spirito del deceduto possa rimanifestarsi sottoforma di brividi sotto la pelle.
Per il resto, il solito Povia sobrio che argomenta con razionalità su tematiche scottanti.

Pupo, Emanuele Filiberto, Luca Canonici - Italia amore mio
Al pari del pezzo di Scanu, è una fucilata di una gavettonata di un polpettone di un minestrone. Solo che se Scanu mira alle balle, il Ghinazzi-Savoia mira direttamente al cuore.
La prima strofa è il manifesto (o meglio, l'abborracciata somma) di tutto ciò che vorrebbe essere il minimo comune denominatore del popolo italico (già ben sintetizzato dalla proverbiale "popolo di Santi, Navigatori e Poeti"): le "tradizioni", la "famiglia", la "giustizia", compresa quella sociale., la "religione" (che non si spiega perchè credere in tutte queste cose legittimi qualsiasi cosa a dire una sua propria opinione, quando per farlo bisogna conoscerle, le cose. E vi garantisco che le due cose non sempre vengono di pari passo). E fin qui "ok".
Poi cominciano le bestemmie storiche. Cito: "io sento battere più forte / il cuore di un'Italia sola / che oggi più serenamente / si rispecchia dentro la sua storia". Considerati i duelli che a ogni celebrazione storica si fanno su revisionismo e simili, questa affermazione è completamente fuori dalla realtà. L'understatement è che il processo di revisionismo sta andando alla perfezione, fregandosene del fatto che si sta appiattendo tutta la Seconda Guerra Mondiale a un grigiore morale assoluto, senza porre alcun paletto. Se la storia la scrivono i Vincitori, la Memoria la ri-scrivono i figli dei Vinti.

Per farla breve e senza lanciarmi in crociate che qui non hanno senso, riassumiamo: "più serenamente" un paio di balle, Fili.
Sorvoliamo su Lele che stringe l'Italia tra le sue braccia (quando ben si conosce il sonoro schifo che i Savoia hanno dedicato al nostro Paese per decenni), la seconda strofa è un capolavoro di comicità involontaria, sullo sfondo di una deliziosa fellatio alla figura di PhilpBert, che diventa lo scintillante eroe umile ed ingiustamente punito (beh, non che lui abbia colpe, sinceramente. A parte la candidatura all'Udc). Puro melodramma, come ci piace a noi.
Tutto questo su un misturone musicale che si lancia in demenzialità operistiche (ricalcate su Somewhere over the Rainbow), con ridicoli contrappunti di mandolino synth che tanto fanno Nappule. Perchè, se ci pensate, mancava proprio "Mandolino, Mamma e Pizza".
Poi "Italia amore mio".... Cos'è? Una fiction con Ezio Greggio e una tettona del Bagaglino? Una trasmissione di Rai2 monopolizzata dalle proloco e dalle Confraternite del Risone in Brodo? Mavava....

Madre mia, ho scritto un casinò.

Enrico Ruggieri - La notte delle fate
La professionalità sta anche nell'umiltà. Ruggieri ha scritto belle canzoni, testi importanti e memorabili, ma sa bene che certi pezzi nascono da epifanie imperscrutabili, e non se la tira. L'artigiano fa bene il suo lavoro: La notte delle fate ne è un tipico esempio. Un testo giustamente poco ambizioso, ma sensibile e sorridente, arrangiamento un po' da svecchiare ma ben tarato sul nostro Enrico, che ci regala le sue vocali fantastiche appena può.
Non vediamo l'ora di sentirla nel prossimo spot del Lines Seta Ultra!

Valerio Scanu - Per tutte le volte che...
Sinceramente, regazzine a parte, in un Paese culturalmente e politicamente decomposto come il nostro, è normale che stravinca un pezzo del genere, e quindi non starò qui a menarla più di tanto.
Semplicemente, il pezzo, nonostante il prezioso mestiere che il Maestro Vessicchio apporta alle orchestrazioni, pare scritto in un anno imprecisato dello scorso secolo. È di un conservatorismo musicale che quasi spaventa, e fa ancora più paura se si considera che a scriverlo è stato un ventenne (dal volto deforme - ma questa è solo una cattiveria gratuita) e a interpretarlo un altro ventenne (con tanto di piercing alla lingua, che fa tanto "sono molto bravo nel sesso orale" - ma questo è solo un'attestato di stima).
Il testo è un capolavoro di svenevolezza romantica all'ennesima potenza, in un polpettone di immagini incontrollate ispirate a quell'amore pornograficamente romantico che "legittimamente" incanta le tredicenni di ogni epoca. E ogni modo, ogni luogo e ogni lago. Davvero, eventuali abbindolati/e dalla profondità sentimentale di questo brano commentino e mi svelino come facciano a prendere sul serio una simile apologia del sesso subacqueo.
Che spero sarà presto reso illegale.

Sonohra - Baby
Se Robert Plant, probabilmente l'uomo che ha urlato "beiibee" più volte nella storia della musica, fosse morto e gli capitasse di sentire questo pezzo, il risultato sarebbe 2012. I Sonohra ci hanno abituato alle loro carinerie adolescenziali rockeggianti, per cui c'è poco da dire, e ancor meno da meravigliarsi. Infatti, il biondino (il terzo fratello Kaulitz, quello deforme, ma l'unico che è riuscito a trasformarsi in SuperSayan - non è il cavo della chitarra, è la coda) ogni volta che si fa vivo si nasconde sempre di più. Attendiamo la scissione tipo Oasis.
E andatevene affanculo voi e la vostra h di merda che ogni volta ci metto un'ora a capire come vi si scrive.

Allora, siete d'accordo?
No?
Ve ne frega una mazza?
Qui sotto c'è lo spazio dei commenti. Ora vado a ritirare la mazzetta della Caselli.

giovedì 7 gennaio 2010

La polvere

Questo racconto ha circa otto anni, le ultime revisioncine risalgono a un paio d'anni fa, ma essenzialmente poco è cambiato: ha tutti i pregi e i difetti della scrittura di un sedicenne.
Lo pubblico, non so perchè ho voluto aspettare così tanto, non so nemmeno perchè lo faccio proprio oggi.

La polvere

Ci sono notti in cui le stelle non sono in cielo, ma te le trovi sparpagliate all'orizzonte. È in notti come questa, in cui le nubi del pomeriggio appena passato non sono che sfumature di blu siderale dietro cui si nasconde qualche timido astro, che gli esseri umani subiscono la tentazione di provare a respirare, a ricordare, a pensare.
Ed è lecito. È lecito anche per i reietti, gli emarginati, che probabilmente di questi cieli si nutrono più avidamente, che di questi cieli sanno calcolare spazi e profondità, che di ogni stella sanno vedere i pianeti.
Ed è importante. È importante per loro che amano la pioggia, i cieli cupi, e le notti senza stelle.

Se aveva qualcosa di veramente suo, era il nome.
Fior.
Si svegliò di soprassalto, e, non dandosi neanche il tempo di aprire gli occhi, prese una sigaretta dal pacchetto sul comodino. La accese, si alzò in piedi, muovendo qualche lento passo verso la finestra. La aprì e lanciò la sigaretta, e la guardò volare, simile a una stella cadente, descrivere un ampio arco, tuffarsi nell’abisso e spegnersi sul campo.
Chiuse gli occhi, e rivide la stessa scena, con il sottile arco di luce disegnato per pochi millesimi di secondo, e poi cancellato in un istante.

Sentì improvvisamente la porta, e tutto fu, per pochi istanti, come in un sogno.
Vide la piccola abat-jour sul comodino diventare un piccolo sole, e le cose attorno ad esso farsi improvvisamente sferiche, e disegnare con le loro sagome orbite sfuggenti, ma misteriosamente impresse sulle pareti verdognole della stanza. Il pensiero lo fece sorridere.
Tornò alla realtà, e aprì la porta.
Di fronte, un uomo alto e robusto, con un importante smoking odoroso di bella vita, indicò qualcosa dietro di sé.
- Bello il pianerottolo, eh? – disse.
Fior annuì, accennando un timido sorriso.
L’uomo entrò, e Fior si accorse che in qualche modo gli aveva letto nella mente. Lui, scorta la parete squallida, voleva vedere solo quella, e disdegnò per non pochi secondi la presenza dell’ospite inaspettato e sconosciuto.
Scrollò la testa. La sua nuova condizione non gli si addiceva ancora. Aveva bisogno di tempo per poter abituarsi al fatto di essere completamente libero.
- Ti ci abituerai presto, sogghignò sereno l’uomo robusto, e si accomodò sulla poltrona.
- Dove siamo? - Il tono di Fior interruppe l’atmosfera gioviale che si era creata.
- Dove sei?! - rispose meravigliato l’altro - Io non lo so di certo.
Fior sorrise. Era tutto piacevolmente assurdo: l’uomo robusto, di cui non conosceva nulla, che gli leggeva nella mente e che gli rispondeva in modo ancor più assurdo.
- Basta, ti prego. Dimmi dove siamo.
Inaspettatamente, Fior cadde per terra, lungo disteso. Poi, riaprendo gli occhi, La vide.
In una visione di luce e profumi, Fior vide la Donna che amava, e tentò di sfiorarla, ma non riusciva a muoversi. Il suo sguardo sembrava alquanto inclemente, lui però sorrideva, quasi inebetito.
La visione scomparve.
- Siamo in un motel. Non so esattamente dove. Il proprietario – disse, malcelando un certo disgusto- è un mio amico.
- Dove siamo, più o meno?
- Non lo so, amico. Te l’ho già detto.

La notte era fredda davanti al motel, e il cielo era dipinto di tenui tinte rosse. Enormi banchi di nuvole si muovevano, nascondendo completamente la vista delle stelle. Fior vide quello spettacolo poco prima di salire sull’automobile, e ne fu estasiato e turbato al contempo.
L’altro sembrava distratto, eppure percepiva lo stato d’animo di Fior.
- Dimmi, cos’ha di tanto sconvolgente un temporale in arrivo?
- Un temporale?
In quell’istante, una grossa goccia gli cadde tra le ciglia, e la vista rimase come squagliata per alcuni istanti. Una grande macchia scura divenne un oceano di pipistrelli, e comparve all’improvviso una luna abbacinante che accecò Fior, che si accorse poco dopo che dolci profili si delineavano, danzando dolcemente dalla luce, come rigagnoli d’acqua. E La vide di nuovo.
Quando la visione scomparve, l’acqua picchiettava il tettuccio di un’automobile, e si infrangeva in innumerevoli lacrimucce stagnanti. Fior aprì la portiera e si infilò velocemente nel veicolo.
Dentro, Lui rideva. Quando notò Fior, smise a fatica, poi mise in moto, e viaggiarono a tutta velocità attraverso una notte madida di pioggia.

Attraversarono colline e alture, ridotte a sagome scure che si stagliavano dalle basse luci dell’orizzonte azzurrino. La strada era stretta, poco illuminata e terribilmente dissestata. Ogni tanto, una piccola casetta si affacciava al lungo nastro grigio della strada, mostrando con orgoglio un fiore all’occhiello luminoso, Faro d’Alessandria in un oceano d’acqua scrosciante e rumorosa.
- Dove andiamo? – chiese Fior, riemergendo dal torpore.
- C’è un posto che dovresti vedere prima del sorgere del sole, poi la scelta sarà tua.
- La scelta?
- Prima aspetta di arrivare, e poi avrai le tue risposte.
- Ma cosa ci faccio qui? Chi sei? – la voce di Fior divenne un grido lamentoso. – Dimmi, che cosa è successo a... tutto?
La pioggia divenne sabbia, e la strada bagnata una lunga linea di fango.
Attraverso il parabrezza, si vedevano solo ondate di fango che si riversavano sull’automobile con devastante irruenza. Ma Lui non se ne curava. E Fior era zitto da tempo.
Lui non gli aveva risposto. Fior aveva perso la pazienza, ma non la pazienza di aspettare la risposta, la pazienza di ascoltarla. E si era rassegnato a guardarsi i piedi.
- Senti, Fior...
- Eh? - la sua voce era distante e patetica, immersa in un sonno fatto di forme in movimento. Stavolta, Fior scacciò in anticipo la visione.
- Io so che stai male.
- Io sto benissimo!
- Guardati la pancia.
Fior vide che la sua pancia era squarciata da un grande buco.
- Cos’è!!?? - l’urlo si confuse con l’agonia, l’agonia con la morte, la morte con la lancinante illuminazione.
La lancinante illuminazione trafisse i sensi, tutti, anche quelli repressi, latenti, e si confuse con una sagoma, la stessa, la stessa di sempre, sempre più nitida fino ad apparire un gioco rigido e statico di contrasti, di bianco e nero, talmente rigido da far male agli occhi.

Quando riaprì gli occhi, dopo ore di sonno, e dopo altre ore di sforzo enorme per muovere quei piccoli muscoli, paralizzati dall’eccesso, vide che era tutto bianco.
Oltre la distesa di bianco, immacolato e irreale, c’era una sagoma più scura che si stagliava sullo sfondo.
Fior mosse il primo passo, e, se all’apparenza non sembrava esistesse nulla, avvertiva qualcosa di solido e concreto sotto i piedi, una sensazione stranissima, che scomparve e divenne parte stessa della confusione che lo conduceva verso la sagoma.
Quando si avvicinò alla sagoma dai lineamenti offuscati, questa lo riconobbe. E gli parlò.
Lui non capì nulla, non riusciva ad udire nessun suono, un prurito irritante alla base del collo, la sensazione di non sentire e non sentirsi. Tentò di muovere qualche muscolo facciale, ma non vi riuscì.
La sagoma smise di parlare, e finalmente potè riconoscerne il volto.
Era Lei.

Aprì di nuovo gli occhi, e rivide Lui accanto a sé. Erano fermi accanto a una strada abbandonata in pieno deserto. La Luna spuntò così improvvisamente che sembrò aver spiccato un salto. Poi gli sembrò di vedere una stanza da letto abbastanza spartana: un armadio, un letto coperto da un federa gialla e nera, disegni irregolari e inintelligibili su un fondale giallo neutro, e sopra il letto, immersa in un sonno profondo e caldo che l’abbracciava, c’era Lei.
Quando rialzò il volto, vide che la Luna diventava sempre più grande, si gonfiava quasi fosse in procinto di esplodere.
Poi scomparve del tutto.
Vide una piuma svolazzare alla sua estrema destra. Si girò verso quella, ma era già sparita. Poi, abbacinante, venne l’illuminazione: era polvere. Quello che gli era rimasto tra le mani, dopo il sacrificio, dopo aver fissato a lungo la luce meravigliosa e splendida del pinnacolo, per poi conoscerne la falsità. Polvere, e chilometri nelle ruote, e buchi nella pancia, e la verità tra le mani.
Invidiò per un istante l’illusione di quelli dall’altra parte, che non avevano visto, che non avevano sofferto, o che se lo avevano fatto non erano riusciti a riprendersi il dolore e mangiarselo, digerirlo e viverlo, prendendolo come punizione, ma come un dono. Un dono di immensa gratitudine, immensa e mortale. Non avevano respirato la polvere, non l’avevano mangiata, non ne avevano i polmoni pregni. Perché chiamare alla mente il Pensiero, e incontrare gli Occhi, e planare sulle Labbra, e cadere di nuovo negli Occhi, e scivolare sui Capelli, era tornare alla Polvere.
Dov’era la strada che poco prima si stendeva sotto i suoi piedi, e l’Uomo che l’aveva accompagnato lì, attraverso una cascata di fango, un sogno vero e tangibile?
La Calotta di Stelle sopra restava immobile. Come se il tempo si fosse fermato. Poi, Lui c’è. Poi, di nuovo scompare.
Tutto è di nuovo bianco.
Avanzò barcollando. guardò oltre una collina, comparsa all’improvviso, come modellata dal vento, dono di polvere: il sole appena sorto convinse anche le ultime brume a scomparire, e loro, dopo le numerose ore trascorse appese in aria, visibili come fantasmi, si persuasero che forse era tempo di coricarsi.
Oltre la Collina, tutto era luce. Era anche più bianco di quel Bianco. E lui si incamminò nella luce.
E quando, poco dopo, ne uscì, c’erano dei bambini.
Giocavano, saltellavano attorno alla loro orbita inesistente. Fior rimase con le braccia distese lungo i fianchi. Guardava.
Poi un uomo, dall’altra parte, lo salutò.
Era Se Stesso.
Accanto c’era Lei.
Lui sorrideva. Lei sorrideva.
Lui salutava. Lei salutava.
Lui la amava. Lei lo amava.

Quando la Collina scomparve, i bambini corsero verso di lui: l’ultimo bimbo, il più piccino, gli passò attraverso. Poi, pochi metri dopo, si fermò a fissarlo, in volto un’espressione stranita. Fronte corrucciata, occhi a fessura: adirato o incuriosito, forse entrambi.
Il sorriso illuminò finalmente il faccino paffutello del bambino che iniziò a salutare. Corse via ridendo, su un terreno che non esisteva, ma che andava in salita.



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venerdì 18 dicembre 2009

Fa che nonna mi abbia regalato i contanti e non il solito paio di guanti

(il titolo è una citazione di "Canzone di Natale" degli Zen Circus)
(il seguente testo è stato scritto nella notte il 9 dicembre alla 1.50. lo pubblico come lo scritto, e non so perchè)

Per la prima volta da anni, mi sono accorto che posso vedere qualche stellina stando comodamente sdraiato a letto. Beh, certo, anche perchè le persiane non sono completamente chiuse, e c'è uno spazio abbastanza largo da permettermi di vederne distintamente un paio. E questo dopo due ore di essermi praticamente vietato di dormire pensando a un vecchio progetto che ormai, mi rendo conto, è impossibile portare a termine come vorrei. Come tutti i migliori periodi, anche in questo c'è un mare di roba da fare simultaneamente, e proprio questo impedisce di fare tutto al meglio. Anzi, a volte è proprio questa sovrabbondanza a impedire di fare qualunque cosa.
Recensioni, studio, teatro, varie letture, varie visioni, un po' d'esercizio, i pasti, i mezzi di trasporto, le richieste dell'ultimo momento, il magico mondo del www, la vita sociale tutto da comprimere in un unicuum spaziotemporale che scorre inesorabilmente veloce.
Tempo fa, parlavo di troppo ozio da svolgere. Confermo, vorrei giornate di 72 ore. E teatro almeno ogni 24 di queste 72. Vorrei leggere e ascoltare i dischi allo stesso tempo, ma non riesco fare entrambi con lo stesso cervello senza cominciare a pensare a una terza cosa. Su altri fronti, sto riuscendo a raggiungere un grado soddisfacente di multitasking e con una soddisfacente qualità. Rimangono fuori lo scrivere e il disegnare, oltre che lo studiare. Ma è solo il nostro dovere nella vita, che sarà mai! Presto poi, ci sarà anche da cominciare a lavorare alla tesi. Evvai!
Voglio morire!
Alè!
Ho tanto freddo!

Son due ore e mezza che mi giro nel letto e adesso ho deciso di mettermi a scrivere per stancarmi. Non è servito The Player su Deejay TV, e non avevo voglia di vedere South Park. Beh, meglio così, adesso so cosa fare quando non riesco a dormire. Scemo io a non pensarci prima. Se sta cosa finisce sul blog finisce davvero che qualcuno mi chiude in clinica. Ergo, finirà sul blog.
Oggi a Milano ho visto Ignazio La Russa, non so perchè ma non ho avuto idee per stuzzicarlo in qualche modo. Non volevo dargli la soddisfazione di augurarmi un cancro. E poi, era al cellulare. Al, non nel. Mannaggia.
Mi sembro tanto il protagonista di Moon. Senza fare troppi spoiler [e qui consiglio a chi lo vuole vedere di saltare qualche riga, non si sa mai], ma tre anni da solo sulla Luna sono inevitabilmente deteriori per la mente. La sola valvola di sfogo, la sola cosa che lo salva – non dalla pazzia, o almeno non solo da quello – è l'amore. Un amore virtuale, a sua insaputa. Anzi, un amore in differita. Un amore che di fatto è solo nella sua mente e nei messaggi che gli vengono centellinati da Terra. Ok, ora mi sono un po' lasciato prendere la mano dall'amore che non c'entra niente. La mia similitudine era per via della degenerazione mentale, ma mi chiedo se anche da quell'altro punto di vista... Film bellissimo, comunque... Regia inglesissima, poco indulgente, Sam Rockwell da paura, anti-clichèttaro, anti-plumbeo, a tratti impietoso, ma con un happy ending solare, inaspettato e adattissimo.

Tutto questo per dirvi che ogni tanto al blog ci penso.
Tornerò.
Presto.

domenica 11 ottobre 2009

Post Comunista

Allora, Berlusconi è incazzatissimo.
Stavolta ha deciso che non si smentisce niente, si va dritto, si sbraita fino alla fine. Muoia Sansone con tutti i filistei. La resa dei conti. I parallelismi sinistri e sinistroidi col finale del Caimano si sprecano. Silvio è Back in Black.
Ok, fin qui i fatti noti. Venerdì, oltre a La Repubblica, ho acquistato anche il Giornale. Per farmi due risate: l’indignazione non basta, bisogna ridere. Ridere però spesso cade nel vuoto. Bisogna argomentare? Bisogna parlare? Non so. Di fatto, come capita da anni a tutta la gerarchia della berlusco-destra, quando oggettivamente mancano gli argomenti, partono gli insulti, partono anche le difese sdraiate al Capo
Feltri apre ovviamente le danze, espandendo quanto già detto dal Biscione (sentenza politica, responsabilità del Capo dello Stato), ma con qualche “comunista” in più. Questa parola ha perso senso da talmente tanto tempo che non ci si è chiesti ancora quale sia la sua re-semantizzazione. Poi magari mi viene a rispondere uno che mi dice “è una parola usata come insulto che ormai ha perso senso”. Eh, grazie al cazzo.
La tesi di Feltri è che Berlusconi, dicendo quel che ha detto su Napolitano, era perfettamente legittimato dalle circostanze, senza considerare che a) non risulta che il Capo dello Stato abbia mai promesso a Berlusconi alcunché; b) se l’essere stato comunista – qualsiasi cosa significhi – non garantisce l’imparzialità, non ne è garanzia provenire da nessun partito o storia politica. E visto che per essere Presidente della Repubblica bisogna essere parlamentari, e se per essere parlamentari bisogna appartenere a un partito – de facto -, nessuno può essere davvero imparziale. L’imparzialità, come giustamente fa rilevare lo stesso GN, sta nel prendere come pietra di paragone la Costituzione. Ergo, scrivere “al momento di salire al Colle militava ancora diligentemente nell’ex Pci. Il che non è una garanzia di imparzialità” è puramente puerile. Nessuno, usando il medesimo parametro, può esserlo. L’errore, semmai, del Presidente della Repubblica è stato quello di aver fatto passare il testo in prima istanza. Di non aver sottolineato i cosiddetti “rilievi di incostituzionalità”. Da questo punto di vista, sì, anche Napolitano esce sconfitto da tutta questa faccenda – ha questo potere e questa responsabilità, e scenate come quella dell’altro giorno con quel cittadino che gliene chiedeva conto, sono del tutto fuori luogo. Ma procediamo.
Feltri fa notare che il Paese è piombato in un clima da guerra civile. È vero. Dal 1994, dal discorso della “scesa in campo di Berlusconi”, quando fece la sua mitologica distinzione delle due Italie. È da quando ha tracciato quella linea nella sabbia, che è iniziata la Guerra Civile.
Numerosi i rilievi sul lessico iperbolico e vittimista del direttore del Giornale, come sempre impegnato in deformazioni violente e pornograficamente capziose dei fatti, anzi, di alcuni fatti, quelli che gli fanno più comodo. Come ogni bravo villain da film – anzi, come ogni bravo scagnozzo del villain, che ride a ogni battuta poco divertente del capo - lo loda quando dice l’ovvio, lo straloda quando dice il falso. Una domanda ce l’avrei per Feltri: allora, Berlusconi non sbaglia mai, giusto? Ma da che punto di vista viene questa valutazione? Perché Berlusconi è Presidente del Consiglio? Perché Berlusconi è Leader del PdL? Perché Berlusconi, per proprietà intriseca, è Berlusconi, ergo infallibile?
Veneziani inforca con il suo op/eda intitolato “I teppisti chic della sinistra che vogliono sfasciare l’Italia”: che forza, sono un teppista chic. Questa settimana mi hanno definito radical chic, io preferisco geek chic, ma teppista chic è troppo forte. Leggiamo: allora, secondo il nostro Veneziani, siamo in un clima da anni di piombo causato dalla sinistra che ha lanciato la solita campagna d’odio e bla bla bla. Ma fratello, non sono certo io ad avere fatto – ancora – quel discorso quindici anni fa, non sono io a continuare a urlare “sono... e rimarranno sempre... dei... comunisti!” quando tento di farti capire che se ci sono delle regole e delle responsabilità connesse a uno status, queste vanno rispettate, che ti chiami Berlusconi o Carretta. Certo, questa contrapposizione sfocia in frangenti piuttosto ridicolini – le varie gallerie fotografiche sul sito di Repubblica con “siamo tutti farabutti” e così via fanno sorridere: prendere così forzatamente ogni frasi sciocca di un premier che ha evidenti difficoltà di comunicazione, vista l'immane quantità di volte in cui è costretto a rettificare, non porta lontano.
Certe reazioni esasperate, non se ne stupisca l’iperbolico Veneziani, sono prodotto di tempi esasperanti, in cui si tenta di svegliare questa supposta “maggioranza silenziosa”, di affrancarsi dall’omertà, dal silenzio in cui questo squallore etico e questa approssimazione d’azione politica ci stanno gettando. Senza risultato.
Sì, quello di Berlusconi è un Paese che non ci piace, che prende decisioni di stomaco e non di testa, che prende la demagogia come scudo, che generalizza tutto per strumentalizzare – e sappiamo che generalizzare è da idioti, esattamente come è idiota una politica (o supposta tale) esclusivamente fondata sul consenso e sul rilevamento da sondaggio. Ignorare le insidie e l’artificio nascosti in ogni atto politico è stupido, utilizzarli a fine personale è criminale. Si è in politica per il bene comune, se non proprio per il bene superiore.
Le milizie benestanti e acculturate – i teppisti chic - di cui parla Veneziani non sono certo le uniche a parlare, ma non è certo una coincidenza se uomini con diverse storie, culture, mondi sociali, magari un tempo anche contrapposti, puntino il dito contro “l’elefante nella stanza”. Dal sapere viene il senso critico, un senso critico che molta gente ha perso, assopita da prodotti anestetici, fatti per trasformarli in infrastrutture del consenso, abituarli all’adesione, alla promessa fantasmagorica di una vita kitsch, a-problematica e compiaciuta, una fiera delle piccole grandi furbizie con cui si possono scavalcare le regole. Quelle regole che esistono a favore di tutti. Il problema è affrontare i problemi, ma affrontarli davvero, insieme. Che tutto questo si trasformi nel solito pessimismo “italiota” autoindotto e altrettanto demagogico fa parte del gioco.
Ma anche qui, conoscere, osservare quanto più criticamente e “distaccatamente” possibile il mondo, interpretarlo, aiuterebbe molto più dell’indagine giornalistica più completa, della sentenza di Consulta più illuminata, del comizio più efficace ed emozionante.
È paradossale poi come si denunci la divisione e la violenza di una parte politica, quando all’interno della propria si esige l’omogeneità assoluta di pensiero e parola. Non la coerenza ai principi che si vanno millantando – fortunatamente di radio, almeno per gli ex FI e gli “ufficiali di collegamento” come Gasparri -, ma proprio l’assoluto appiattirsi alla linea. Ma d’altronde, chi non è allineato è un comunista. Chi esagera e ricatta, è un alleato prezioso. Ma troppo pericoloso per rischiare elezioni anticipate e scheggiare un po’ la propria immagine di leader eletto dal popolo. “Volontà popolare”, “eletto dal popolo”, per quanto legittimati dalla gente, non si ha nemmeno il rispetto di riconoscergli un’intelligenza, una possibilità di scelta, la possibilità che la fiducia che si ha avuto dev’essere onorata rispettando il principio del bene superiore.
C’è tanto da dire, e ci tornerò. Ero partito con l’idea di fare qualcosa di molto più scanzonato, ma leggere il Giornale è un’esperienza tanto stimolante quanto offensiva. Mi fermo a pagina tre.
Però sta copia la conservo per i momenti di quiete. A futura memoria.

sabato 8 agosto 2009

Vedi Salerno e poi torni - Day 7

Day 7 - 31/07/2009
ore 11.30 - Ultimo risveglio nella lussuosa camera al GHS. Ultima colazione. Ultimo Montenegro alla goccia per Martino. Ultima possibilità per rubare le marmellatine, che però dimentico sul tavolo.
Salutiamo Francesca, the Coordinatrix, che approfitterà del weekend per vedere Pompei e Napoli, e cominciamo a realizzare che la festa è finita.
Simone e io torniamo in camera e, con in sottofondo Rai News 24 e scambiandoci l'ultima selva di stronzate, prepariamo le valigie. L'inserimento dell'enorme fotografia regalatami da Nicola mi costringe a ripensare l'assetto della situazione molte volte, ma alla fine non c'è scampo.
Alle 11.30, un ultimo sguardo commosso all'arredamento, e chi s'è visto s'è visto.

ore 14.45- Ci troviamo nella hall, e dobbiamo ammazzare parecchio tempo. Almeno fino alle 13, ora in cui Zio Peppino ci ha garantito il pranzo giù all'Embarcadero. Attraversiamo per l'ultima volta la città, le casette di Barbie originali sui balconi, qualche ultimo vicoletto che ci eravamo persi, e con Marta e Nicola varianti a raffica sul cognome di Miki Gorizia - mannaggia a me quando l'ho chiamato Miki Gorilla...
Ne approfittiamo per un ultimo salto a Santa Sofia, dove salutiamo Petrone e ho modo di consegnare le caricature di Apolito, Lombardi e Chiara - che ho rifatto in modo più soddisfacente dopo colazione - a Chiara stessa, che sembra molto divertita dall'iniziativa.
Next stop, the Embarcadero: ad accoglierci, la splendida immagine di un Martino, rinnovato nello spirito e nel vestiario, appena uscito da una nuotata nel tratto di mare non proprio pulitissimo su cui sorge il ristorante. Appoggiato a una ringhiera, Davide canticchia "Dice che era un bell'uomo e veniva, veniva dal mare..."
A pranzo, la fobia da cozze spinge molti a rifiutare il primo piatto - spaghetti e cozze -, che invece Davide inforca con gusto - e un sospetto di masochismo. Notiamo che il povero Miki Gorizia è solo soletto al tavolo e lo invitiamo a unirsi a noi, anche per riequilibrare il nostro karma - ma in realtà sta aspettando i suoi compagni, com'è giusto che sia. Anche il finora taciturno scultore-fumettista Luca Caimmi, emerso dal limbo giusto ieri, entra nel nostro "algo-ritmo" umoristico, e, per quest'ultima oretta, ci sentiamo una grande famiglia. Anche Miki Gorizia, che un po' temo, mi dedica una scrollatina di spalle con risata - a mò di "stronzolino..." - quando gli regalo anche la sua caricatura. È un bel momento.
Dopo pranzo, ci dirigiamo per l'ultimo caffè al De Rosa e salutiamo gli amici di Forlì, in partenza automobilistica. È demenziale salutare per davvero Nicola, dopo la giornata a ricordare le accuse della scrittrice Claudia "Cardinale" Cavaliere di aver copiato le foto da un fantomatico Vogue del '98 (sì, ok, era per dire...), e a scambiarci dei commossi "a presto" provvisori...
Torniamo momentaneamente all'Embarcadero, per salutare e ringraziare Chiara, i Cadillac e tutto il cucuzzaro. Dopo l'ultima foto ricordo davanti al ristorante, siamo pronti, anche se già un po' nostalgici, per l'ultimo miglio.

ore 18.10 - And then there were seven: Paolo, Marta, Martino, Davide, Riccardo, Simone e Alessandra. Il primo nucleo di GAI Team.
Il nostro pullman per Napoli Capodichino parte giusto giusto alle 17, e abbiamo un'oziosa ora e mezza da riempire nella hall del GHS. Davide e Riccardo ci allietano con un concertino da brividi piano-voce, con cover di Antony and the Johnsons, Tim Buckley, Radiohead, Paolo Nutini, che portano un'ultima ventata di creatività, con me e Simone che pasticciamo sui blocchetti, Marta e Alessandra che scattano foto e Martino che legge.

Trolley in mano e ultimi scalpiti di Vasco Brondi in gola, ci dirigiamo alla stazione dei pullman e ci dirigiamo all'aeroporto. Tempo di fare il check-in e mi accorgo di non avere più addosso la macchina fotografica, che mi era stata prestata con eccessiva gentilezza dal mio amichetto Bone.

ore 21.30 - Corro al pullman, non c'è. Chiamo Chiara, all'Embarcadero non è rimasto niente. Chiamo l'hotel, zero. Spero di averla messa in valigia per qualche motivo, ma so di sicuro di non averlo fatto. Ho un senso di colpa terribile, e l'unico modo per distrarmi è ascoltare i due geni che stanno facendo le parole crociate a voce alta al bar dell'aeroporto: "Mmm, tra l'Ecuador e il Perù.... S... Somalia! Ci sta, ci sta!"; "Sta bene sui maccheroni... macio? Sarà micio!"; "Ha cantato "Quello che le donne non dicono"... Fiorella M... Mannini!".
Alle 19.10, siamo già sull'aereo. Per ingenuità, siamo saliti dalla scalinata anteriore, non considerando il fatto che ci sono stati assegnati i posti in fondo all'aereo. Grandi geni, ma grandissima anche la gentilissima signora spazientita che pretende di farci sedere in venti secondi perchè non riesce a passare.
Sul volo, stanchi di una giornata di MikiQualcosa, prendiamo di mira il nostro carissimo Simone Ludovico, con una serie di varianti sul titolo del suo "In te spero". Visto che ho già un contratto con la Mondadori per la pubblicazione di tutta la lista, non mi è concesso riportarne alcuno in questa sede.
In barba ad Alessandra, convinta che non si sarebbe ripetuta la nostra fortuna dell'andata - in cui, ricordiamo, ci era stato fornito un croissant ghiacciato, eccoci dei simpatici vassoietti di carta con minipanino e vaschettina d'acqua, un po' come le ciotole per i cani. Lo snack viene dilaniato in tredici millisecondi, ma il disponibilissimo stuart, di sua spontanea volontà - e non sto scherzando -, ce ne fornisce altri a profusione...
Il massimo degli splendidi rapporti con questo splendido stuart arriva alla fine del volo quando attendiamo di uscire dalla porta posteriore, mentre tutti gli altri passeggeri sono scesi dalla porta anteriore. Lo stuart era talmente divertito dal nostro accalcarsi lì in fondo senza renderci conto di niente, che è stato zitto tutto il tempo a sogghignare tra sè. Genio.

ore 0.00 - In pochi minuti, ci riappropriamo delle valigie - senza macchina fotografica - e prendiamo il pullman che ci porterà in Stazione Centrale, a Milano. Qui, riempiamo altre quattro pagine di varianti di MikiGorizia, sapendo che gli altri passeggeri ci staranno odiando. Alla fine, il più simpatico tra loro ci rivela che ormai il mantra gli è entrato in testa, e ci soprannomina "Gruppo dei Filologi Pazzi". Ne siamo orgogliosi.
Alle 23 siamo in Stazione Centrale, l'ultima tappa del nostro grande viaggio. Il treno che ci porterà Pavia è già fermo al binario, per cui saliamo e ci scambiamo le battute finali.
Il primo a salutarci è Simone Ludovico, che ci abbandona a Milano Centrale, con un abbraccio e una bella limonata al finestrino del treno.
Poi, arrivati a Pavia, il commovente abbraccio finale e la promessa a ritrovarci quanto prima. Mammà mi è venuta a prendere, carico il trolley e via verso casa.

Titoli di coda
... preparate i fazzoletti...

innanzi tutto, devo ringraziare Roberto e Francesca, senza
i quali non avrei potuto esporre i miei lavori, ed ergo neanche vivere questa esperienza...
grazie infinite per "l'investimento" che avete fatto, in me e nelle altre belle persone che avete scelto...
poi un ringraziamento va a tutta l'organizzazione di SalernoInVita,
che è stata sempre magnificamente presente e generosa, a partire dalla splendida Chiara Varriale, nonchè Ilaria e gli altri ragazzi, per arrivare ai "capoccia" della manifestazione, Paolo Apolito, Roberto Lombardi, che sono stati quelli con abbiamo avuto più contatto, e gli altri...

... poi i miei compagni di avventura, in ordine di apparizione:
Alessandra... è una forza della natura e perchè raramente ho sentito parlare qualcuno
della propria arte con tale passione e con tale oggettività...
Davide, Riccardo e Martino, tutti insieme, perchè c'è stato feeling e stima praticamente immediati... e poi per l'assurda quantità di risate che ci siamo fatte dal primo secondo...
Marta, anche lei una forza della natura, anche con lei grosse risate dal primo istante e feeling immediato...
Simone, per la sua positività incrollabile e la sua vitalità zen quasi inumana...

i ragazzi di Biella, per essere come sono, dei liceali fuorissimo con tanto da dare a tutti,
e la loro Prof, e avrei ucciso per avere una prof "umaana" come lei...

i ragazzi di Forlì, perchè vi ho frequentato così tanto che gli ultimi due giorni
avevo la vostra "s"... e a parte questo, perchè è stato uno spasso scambiare
battute e opinioni con Nicola, e cercare un modo nuovo per giocare con il nome di Sole...

i Cadillac, perchè hanno spaccato, mi hanno fatto spaccare - modestamente -, e perchè sono dei pirloni...

i Sidera Ves, per essere esistiti...

i ragazzi delle Residenze d'Artista, che ci hanno dato modo di parlare di loro, anche se non c'è sempre
stata l'occasione di parlare con loro... ma hanno tenuto il sangue caldo e in circolo, insomma...
(e in particolare ringrazio Carla Vitantonio, per avermi letto e dato un feedback, e, per ingraziarmi il karma, anche Miki Gorizia, che per quante volte l'abbiamo "nominato" sarà diventato sordo)...

ringrazio Salerno, per essere una città stupenda e ospitale...

ringrazio tutte le istituzioni che hanno sganciato il dinero per rendere possibile questa cosa meravigliosa...

e ringrazio tutti, perchè è stata un'esperienza umanamente e creativamente pulsante,
viva, straordinaria... è stato davvero un continuo fluire di proposte, scambi, idee e soprattutto
emozioni... e quindi persone...

grazie, e alla prossima

venerdì 7 agosto 2009

Vedi Salerno e poi torni - Day 6

Day 6 - 30/07/2009
ore 12.10 - Simone rientra in camera alle 6 del mattino, accompagnato dal clangore della borsa dei vuoti di birra. Meravigliosamente, un paio d'ore dopo è up and running pronto per la gitarella a Erchie che Riccardo ha messo insieme, guest starring Marta, Federica, Francesca e Sole. Simone riepiloga gli ultimi capitoli del Party on the Roof, che hanno visto protagonisti Martino - che ieri sera, appena si è scheggiato il collo di una bottiglia di birra, ha rotto la sua flemma proverbiale con un "cazzo fai?" - e Nicola, che hanno aspettato le 7 per andare direttamente a fare colazione con un buon Montenegro. E poi andarsi ad ammazzare di sonno.
Saliamo sul pullman SITA che ci porta ad Erchie, ma non azzecchiamo la discesa e finiamo a Maiori. Beh, poco male, l'importante è il mare: ci accaparriamo una bella metà di mellone e ci dirigiamo verso la spiaggia libera. O meglio, raggiungiamo la spiaggia libera alla fine del tratto di costiera, solo per scoprire che c'era un percorso che portava direttamente lì.

ore 15.30 - La mattinata trascorre serenamente, tra bagni in mare, rimembranze infantili dei frammenti di vetro smussati dall'acqua e senza pranzo... d'altronde, l'anguria ci sazia a sufficienza. Mi vengono commissionati altri disegni, che eseguo sotto il Sole a picco con la sola copertura dei pantaloncini, che metto sulla testa, grondando sudore anche dalle pupille.
Presto, sono già le 14.35, e dobbiamo essere di ritorno a Salerno per l'ultimo Laboratorio con il mitico Roberto Lombardi: il pullman di ritorno è sovraffollato e la strada un po' troppo tendente al curvilineo - stranamente vado in nausea anche se solitamente non soffro-, per cui mi concentro sull'unica cosa possibile le caricature. Faccio in tempo a farne tre (la triade Miki Gorizia, Paolo Apolito e Lombardi), mentre qualche ragazzina adocchia e commenta il mio lavoro - più tardi, Francesca mi chiederà se ho mai cuccato con i disegni. La risposta è no, e proprio per la sindrome del chitarrista che spiegavo la sera precedente: il chitarrista suona, gli altri limonano. Dura la vita dell'artista.

ore 18.45 - Giunti a Santa Sofia, facciamo la conoscenza di Eva, il bellissimo cane di Apolito che scorrazza indisturbata nella sala prove. Lombardi chiude i fili in sospeso con gli argomenti dell'incontro precedente, e ci lascia un po' di terreno per parlare degli ultimi giorni. È partito un forum davvero interessante... peccato per l'assenza dei residenti, ma Lombardi ci spiega subito che per vari motivi non è stato loro possibile presenziare. Comunque, è stato un fertilissimo terreno di confronto, in cui abbiamo parlato sia delle singole esperienze artistiche (con particolare riguardo allo spettacolo dei Kol, che ha ricevuto forti apprezzamenti), sia sull'organizzazione dell'evento (e qui, applausi continui a Chiara, che ci ha fatto vergognare un po' meno del nostro lussuoso soggiorno al GHS, che, ci rivela, è costato pochissimo), che molti di noi avrebbero voluto più incentrata sul confronto e sulla "formazione", cosa riuscita solo in parte, per stessa ammissione di Apolito e Lombardi, anche a causa di tagli di budget e rivolgimenti burocratici.

ore 21.35 - A fine laboratorio, ci fermiamo un po' a scambiare qualche battuta. Finalmente, sono arrivati i cataloghi, in quantità industriali. Ognuno ne porterà a casa un chilo, e si divertirà a sfottere gli altri per le loro biografie bizzarre. Rileggo la mia, e mi fa schifo.
Poi, tutti a Sant'Apollonia per l'installazione audio di Dario Lazzaretto "Male magnum" e quella fotografica di Natalia Saurin.
La prima è un'opera brillante e lucida nella forma - l'ipocrita dogmaticità della filosofia del reality show inscenata attraverso una finta liturgia con voce salmodiante che recita il regolamento del Grande Fratello in latino -, ma smussata nelle finalità: per quanto sia induscutibile che questa forma mentis degenere e superficiale stia dilagando (e, me ne fregio, ne ho parlato anch'io in "Tanto vale tutto"), siamo davvero sicuri che sia un tale "tabù" parlarne? Piuttosto, una critica dovrebbe indirizzarsi a corrodere le fondamenta di questa idiot-logia, non ha denunciato un problema che - de facto - esiste relativamente. meglio, non è un tabù vero e proprio, quanto un sonno della coscienza, ma qui, come dichiarato dall'autore, l'oggetto di critica è altro. È il tabù medesimo. Male Magnum va però ricollegata all'altra installazione audio, quella presente in The Experiment (vedasi Day 4), dove il tabù è quello del parlare del Potere e, nello specifico, del potere mafioso: qui la parola tabù ha indubbiamente più senso, anche se permane una critica che, a mio parere, tenta di forzare il lucchetto senza riuscirci. È un discorso che andrebbe approfondito.
L'altra è una ricerca a metà fra Casa e Chiesa, con alcune vecchie signore salernitane fotografate con i coltelli usati nella quotidianità sullo sfondo delle tovaglie della festa: sono piccole religioni domestici, a metà tra sacralità e ironia, di Madonne dolorose che hanno portato avanti famiglie intere sul groppone. Ok, l'ho copiato paro paro da quello che ha detto lei, ma c'è poco altro da dire, oltre che al fatto che è un lavoro non immediatissimo, ma "incuriosente".
Dopo la visita, riempiamo la libera uscita fino alle 21 assistendo al soundcheck dei Ministri in Piazza Gioia. Certo che Davide, il cantant-bassista, capelli cortissimi e petto nudo e glabro, sembra davvero un dodicenne... Il simpatico cantore, finita la massiccia prova dei suoni, saluta una signora affacciata alla finestra con "Non si preoccupi, signora, abbiamo finito!". Che compagnone.
Tra una mozzarellina per coprire il buco allo stomaco e l'altra, ci rechiamo a Palazzo Genovese, dove sta per iniziare Una valigia piena di dollari, monologo di e con Carla Vitantonio, nello scenario di due scalinate simmetriche che danno su un cortiletto. Davide è esaltato dalla cornice scenica: effettivamente, l'impatto visivo e acustica sono tali che farci un concerto sarebbe quantomeno superbo.
Lo spettacolo parte dalla reale esperienza d'infanzia e adolescenza dell'attrice, che ricostruisce episodi della sua infanzia in Molise sul filo di una nostalgia affettuosa e riconoscente, tra streghe, lupi mannari e case che scompaiono per via delle frane e soprattutto del terremoto. E proprio il terremoto costituisce una sorta di altro personaggio della vicenda, con cui dover convivere. La protagonista è bravissima, non c'è che dire: riesce a tenere il pubblico restando mezz'ora seduta - certo, estendosi, narrando con il corpo, richiudendosi, recitando insomma, ma seduta -, con una dinamicità non indifferente, su un testo brillante e coinvolgente. L'unica nota negativa, se vogliamo proprio fare i cattivi, è un po' l'automatismo della risata: certi momenti sembrano costruiti necessariamente per far ridere, per spingere il dato bottone e scatenare l'ilarità, e non si curano molto di celare "il meccanismo".
Finito lo spettacolo, a cena all'Embarcadero, fiduciosi del fatto che riusciremo a fare in tempo a vedere i Ministri.

ore 2.30 - Speranza disattesa dai fatti: probabilmente il fatto di voler terminare le caricature di Lombardi e quella di Chiara - che non mi soddisfa - mi fanno perdere troppo tempo. Torniamo in piazza a concerto finito, ma in tempo per goderci tutta l'esibizione di Vasco Brondi, aka Le Luci della Centrale Elettrica.
Brondi è praticamente la stella del mondo indie del 2008: il disco, ascoltato la prima volta, dice poco a livello musicale. Incantano i testi, immaginifici, rabbiosi, tesi, saturi, e l'interpretazione, gridata, un interruttore che passa da un setting "normale" e un urlo che raschia le corde vocali, ma musicalmente... sono i soliti accordi... Beh, il live fa cambiare idea anche sulla musica, potente e rabbiosa senza troppe concessioni ai distorsori, sapiente nell'aggiungere una viola ispirata e magica. Brondi visibilmente trae energie da un pubblico che tratta "male" - scaccia chi tende un po' troppo le mani, a fine concerto, dovendo staccare la spina, concede un brano solo acustico non amplificato, e zittisce i fan che tentano di intonare un coro -, ma che esalta con la sola forza delle sue canzoni.
Io e Riccardo, che seguiamo il concerto spalla a spalla, siamo incantati e divertiti, e proseguiamo nell'imitare il buon Brondi fino al ritorno in albergo. Ricordatemi di farlo poco, perchè spacca le corde vocali.
Ci diamo appuntamento al Roof... ma il roof è chiuso. Maledetti matusa, sabotano i nostri incontri ggiovani. Andiamo a trovare un attimo Martino nella stanza-appartamento di Davide e Riccardo: ci apre la porta uno zombie pallido con uno sguardo inconsapevolmente truce e terrorizzante. Abbandoniamo Martino al sonno in tutta fretta, solo per incontrare il mitico clone di Julio Iglesias nel corridoio, che apre la porta, con conseguenze esalazione di miasmi mefitici, e dice "Dai ragazzi, facciamo lo scherzone. Chiamate in reception e dite che le ragazze disturbano... dai! Dai!". Di tutta risposta, gli sorridiamo un po' nauseati e ce ne andiamo.
Ci ritroviamo nella hall, dove, lo sappiamo, si consumeranno gli ultimi saluti: Federica di Forlì partirà in mattinata, i Sidera Ves si infileranno sul loro furgoncino, e i Biellesi prenderanno il treno per casa alle 6 del mattino.
La professoressa di Biella mi ferma per farmi i complimenti per Corteccia, e la cosa mi imbarazza un po': mi dice di aver sentito il quadro particolarmente suo - fino a pochi mesi prima era incinta... insomma, la mia volontà di fare un'immagine embrionale, che esprimesse in potenza la vita di una donna, ha colpito nel segno. Le prometto di mandarle il quadro, e un po' mi emoziono.
Mr. Emotion is Dead, Nicola Vandi, regala stampe delle sue fotografie con dedica: a me tocca questa, con "Mi sembra ancora di vederti scatenato su quel palco. Impagabile". Ho colpito nel segno.
Ci scambiamo indirizzi e baci, baci e abbracci, abbracci e battutacce. In particolare verso Nicolò, che per qualche motivo sembra essere particolarmente fuori dal mondo: l'emozione non ha voce, e lui non riesce manco ad alzarsi dal divano.
La commozione un po' si scioglie quando realizziamo che molti di noi si rivedranno domattina, ma poi risale quando realizziamo che proprio domani... è l'ultimo giorno.

Vedi Salerno e poi torni - Day 5

Day 5 - 29/07/2009
ore 10.00 - Se c'è una cosa che ho scoperto essere stupenda appena alzati, è salutare sorridendo a tutti. La colazione è diventata davvero il momento del catch-up di fronte a cappuccio, espresso, e brioche al bacon. Yummy-yummy.
Alle 10, eccoci pronti per la gita a Paestum, organizzata dal mitico team di SalernoInVita. La squadra comprende gran parte del GAI Team pavese - salvo Riccardo, Martino, Davide e Alessandra, impegnati nell'allestimento dello spettacolo di stasera -, gli amici di Forlì - genitori di Sole compresi -, artisti pugliesi e accompagnatori degli artisti pugliesi, i PastiKe, presenze abbastanza impalpabili, e tutta la sezione ritmica del primo gruppo che si esibirà stasera, i Cadillac 50: meeting Ivan, il batterista, e Diego, il bassista che ha dietro la chitarra elettroacustica!
La carovana parte, ma quando il pullman vira verso l'Embarcadero, temiamo tutti l'avversarsi delle voci per le quali una ragazza è stata male per via del cibo fornitoci da Zio Tonino. A quanto pare, i frutti di mare non hanno fatto che scatenare una condizione preesistente - anche se un'altra voce ci ha spiegato che i paramedici non sembravano molto sorpresi del fatto che la vittima avesse cenato lì... Invece, il buon Toupè ci ha preparato dei gustosissimi calzoncini alle melanzane alla parmigiana, che trovano temporaneo rifugio nelle calde viscere del pullman.

ore 14.04 - Alle 11 e 30 giungiamo ai Templi di Paestum, e subito veniamo rinfrancati dalle nostre stupende bottiglie di acqua Lèvia, la varietà naturale della Ferrarelle che noi Nordisti non ci siamo mai sognati di vedere. In effetti, di acqua gasata vera e propria non ne ho ancora vista, solo acqua effervescente naturale che, diciamocelo, farà anche bene, ma papillarmente... manca del retrogusto chimico che a noi della Pianura Padana piace sempre avere sul palato.
Alla richiesta della carta d'identità per gli under-25, mi accorgo di averla ancora in reception dal primo giorno... per cui, faccio spendere un po' di soldi al gentilissimo Comune di Salerno, aggiungendo ulteriore karma negativo alla situation.
A guidarci nella visita alle rovine greco-romane, in uno scenario a metà tra savana e film western, un uomo la cui saggezza supera ogni concetto di bene e male: Nunzio Daniele. La guida ci dà un'infarinatura di base della storia della Magna Grecia e dell'organizzazione di Paestum, spara a zero contro le nuove generazioni, ree di "andare in giro con la bottiglia di birra in mano", prospetta una catastrofe imminente, e dice qualche castroneria su Greci e Romani - che mescola senza pietà -, scatendando l'ira (repressa) dei "classicisti", in particolare Sole, che vorrebbero artigliarlo alla gola. Devo anche stare attento a quello che scrivo, perchè visti i chili di ego che si porta dietro (il suo biglietto da visita riporta "Guida Turistica e Attore non Protagonista nel film Pane e tulipani", per dare massima visibilità ai 24 fotogrammi in cui è inquadrato), ha tutta l'aria di uno che passa le giornate a googlare il proprio nome. Tra una filippica e la richiesta di fattura per la propria prestazione, Nunzio caro viene pedinato da un simpaticone che annota le sue perle e le trasforma in slogan, ma soprattutto dal grandissimo Nicola, che ha riempito una scheda SD di piani ravvicinati della guida, che, alla fine, reagisce con un "Se diventa ricco con queste foto, voglio il 10% dei guadagni".
Nunzio ci abbandona davanti al Tempio di Nettuno, ma noi ne approfittiamo per esplorare un po' la zona... i ragazzi di Biella, guidati dalla formidabile professoressa Deborah, vanno persino a disotterrare qualche mosaico tenuto deliberatamente nascosto per mancanza di fondi per il restauro.

ore 16.45 -
Facciamo il nostro ingresso nel Museo di Paestum, dove i responsabili ci riservano una gran carica di simpatia facendo storie sul nostro ordine di entrata. Eh va beh... Un museo pieno di vasellame a stomaco vuoto non è proprio il massimo, per cui, una volta osservato qualche esempio di arte sequenziale (abbastanza surrealista, in certi punti) estratto da tombe e monumenti, ci arrendiamo a una stanchezza impronunciabile.
Finalmente, Ilaria e soci, i ragazzi dell'organizzazione che ci hanno seguito fin qui, sganciano i panozzi, e possiamo strafogarci come matti di un cibo neanche il pastore tedesco mascotte
di Paestum - che ci sta dietro dall'arrivo - ha il coraggio di ingoiare. In barba alla sorte, me ne trangugio addirittura due - malgrado sospetti conseguenze nefande per il mio apparato digerente -, e poi tutti al pullman, che i Cadillac devono provare.
Nel viaggio, ho modo di parlare un po' con i ragazzi del gruppo (Io: "Aaaah, ma voi siete gli Chevrolet!", loro: "Ehm... i Cadillac", io: "Eh va beh, sbagliato macchina"), mentre, in un'atmosfera hippy, Andrea, Diego, Nicolò e Ivan si danno alla jam session e i miei blocchetti carichi carichi di disegni fanno il giro del pullman. Ivan mi chiede persino uno schizzo "rock'n'roll" da attaccare alla cassa della batteria... storia! Io lo eseguo in quattro e quattr'otto, sul pullman, nonostante le curve e qualche tratto d'asfalto sconnesso.
Intanto, Nicola e Giuseppe raccolgono la pecunia per il Secondo Party on the Roof, che stasera vedrà, come guest star, tipo seicento litri di birra autofinanziati.
Arriviamo al GHS, e congedati i Caddilaquis, diretti in Piazza Gioia per il soundcheck, il GAI Team si dà appuntamento per la sera stessa in Sant'Apollonia.

ore 21.00 - Dopo un riposino ristoratore, io e Simone decidiamo di dirigerci verso Santa Sofia, per dare un'altra occhiata alla mostra. Petrone, la guardia giurata, sta commentando tutti i quadri, tranne il mio - e me ne rammarico, e arriva persino a mostrarci i suoi lavori... o meglio, a darcene un rapido saggio. Ispirati alle figurine da colorare della Settimana Enigmistica, i quadri di Petrone sono stati tutti distrutti dalla di lui consorte, a cui, inspiegabilmente, non piacevano.
Mentre ci allontaniamo, incrociamo Alessandra, che intanto ha fatto raddrizzare con la forza il proprio quadro! Ci racconterà più tardi della terribile esperienza con Petrone, che l'ha pedinata durante tutta la visita e uscendosene infine con un "Non è che sei un po' nervosa?".
A Simone è venuta una voglia matta di macedonia, e ci incamminiamo verso Corso Vittorio Emanuele, e guarda chi ti ritrovo... i Biellesi! Facciamo i complimenti ad Andrea per il suo video - che, dichiara, con disappunto della Prof, ha una colonna sonora infilata all'ultimo momento - e a Nicolò per la sua scultura. Le opere dei poveri biellesi sono quasi tutte compromesse: manca l'acqua, si sono danneggiate durante il trasporto... la prof è simpaticamente irritata, ma niente che una passeggiata per il corso con i suoi studenti, e soprattutto con quei due decerebrati di Andrea e Nicolò, possa risolvere.
Simone finalmente riesce ad accaparrarsi la sua macedonia, e possiamo quindi dirigerci verso Sant'Apollonia, dove l'adrenalina e il nervosismo sono alle stelle... i Kol stanno per debuttare con "L'inconsolabile. Orfeo: variazioni sull'attimo".

ore 23.30 - Riccardo, Davide e Martino hanno fatto il miracolo. Beh, miracolo è esagerato, ma in mezz'ora sono riusciti a condensare un'intensità, una tensione, un'emotività impensabile. Riccardo è un Orfeo esteso, è il manichino di se stesso, si fa muovere dalle emozioni, coesiste in uno spazio uguale e diverso con la proiezione di Euridice... un fantasma, davvero, tanto è lontana, impalpabile, dolorosa. La sua voce, fusa con le musiche di Davide e Martino, o dal vivo, mentre canta nel rituale che lo porterà a lei, si moltiplica, diventa tante... è indescrivibile. Nessuno, a fine spettacolo, quando torna fra noi comuni mortali, può esimersi dal complimentarsi per il testo, ma soprattutto per la performance intensissima.
A seguire, il concerto d'addio di Julio Iglesias. Lo scarto tra i due spettacoli in cartelloni ci fa rabbrividire così tanto che siamo costretti a lanciarci in Piazza Gioia, dove i Cadillac stanno macinando successi di Elvis e Jerry Lee Lewis a una folla che ormai è impazzita e non fa altro che ballare. Ivan ha mantenuto la promessa, ed eccomi con il mio disegno, una parte della storia del rock! E non solo, i Cadillac prendono un po' di gente a caso dalla folla (alla fine siamo io, Simone, Sole, Martino e Davide, e all'improvviso uno sconosciuto) e ci costringono a ballare sul palco... io e Martino ridefiniamo il concetto stesso di ballo, con bordate al di là dell'umana comprensione e miei gesti di adulazione a un bassista che mi ignora. Fuckin' rock'n'roll!
Sceso dal palco, sudato e consapevole di avere fatto qualcosa di paragonabile a Jimi Hendrix che suona l'inno americano, intercetto lo sguardo pieno di stima di Nicola e degli altri, e sono felice.

ore 4.10 - Finalmente, salgono sul palco i Sidera Ves, i musicisti di Torino tanto bistrattati, che ora però dimostrano che anche in due e con la sezione ritmica praticamente dimezzata, possono portare avanti alla grande un concerto - con un paio di canzoni nuove, per di più. La bassista, in particolare, abbandona dopo due pezzi la quattro corde e si lancia in una performance con cajon quasi sessuale... sembra che ci stia facendo l'amore, con lo strumento - no pun intended.
Dopo la cena, in cui risolvo ancora qualche disegno a richiesta, ci prepariamo all'after on the Roof, che inizialmente diventa l'occasione per scambiarci le impressioni a esperienza quasi finita, poi diventa un happening di improvvisazione alcolico-musicale in cui intono Back in the USSR dei Beatles - unica canzone eseguita quasi per intero dal duo Andrea-Nicolò, che, ricordiamo, non conoscono il finale di nessun brano e poi vanno a suonare ai matrimoni - a monosillabi: "bababababababà-nanananananaaaa". Sole si addormenta in un angolo così tranquillamente che ce ne accorgiamo solo al suo risveglio, un'oretta dopo. Nel frattempo, Nicola si è scolato 4 bottiglie da 66 di Moretti, e qualche piano più sotto accorrono ambulanze e polizia per un incidente che coinvolge un motociclettista - che fortunatamente si procura un taglio alla testa - falciato da una macchina.
Alle 3.30, i sopravvissuti del rock emergono dalle nebbie dell'ascensore: Enrico e Francesca dei Sidera Ves si uniscono a noi, e si profondono in una jam session allucinante con Andrea e Nicolò. Il bonghista è letteralmente fuori, Francesca è ancora in orgasmo da cajon, Andrea accompagna Enrico che improvvisa un testo sulla bellissima serata in corso.
L'allegra compagnia decide per un after, ma a me cala un po' la palpebra e mi ritiro nei miei appartamenti, sicuro che Simone non tornerà in camera sano.