buzzoole code A Paul's Life: ottobre 2009

domenica 11 ottobre 2009

Post Comunista

Allora, Berlusconi è incazzatissimo.
Stavolta ha deciso che non si smentisce niente, si va dritto, si sbraita fino alla fine. Muoia Sansone con tutti i filistei. La resa dei conti. I parallelismi sinistri e sinistroidi col finale del Caimano si sprecano. Silvio è Back in Black.
Ok, fin qui i fatti noti. Venerdì, oltre a La Repubblica, ho acquistato anche il Giornale. Per farmi due risate: l’indignazione non basta, bisogna ridere. Ridere però spesso cade nel vuoto. Bisogna argomentare? Bisogna parlare? Non so. Di fatto, come capita da anni a tutta la gerarchia della berlusco-destra, quando oggettivamente mancano gli argomenti, partono gli insulti, partono anche le difese sdraiate al Capo
Feltri apre ovviamente le danze, espandendo quanto già detto dal Biscione (sentenza politica, responsabilità del Capo dello Stato), ma con qualche “comunista” in più. Questa parola ha perso senso da talmente tanto tempo che non ci si è chiesti ancora quale sia la sua re-semantizzazione. Poi magari mi viene a rispondere uno che mi dice “è una parola usata come insulto che ormai ha perso senso”. Eh, grazie al cazzo.
La tesi di Feltri è che Berlusconi, dicendo quel che ha detto su Napolitano, era perfettamente legittimato dalle circostanze, senza considerare che a) non risulta che il Capo dello Stato abbia mai promesso a Berlusconi alcunché; b) se l’essere stato comunista – qualsiasi cosa significhi – non garantisce l’imparzialità, non ne è garanzia provenire da nessun partito o storia politica. E visto che per essere Presidente della Repubblica bisogna essere parlamentari, e se per essere parlamentari bisogna appartenere a un partito – de facto -, nessuno può essere davvero imparziale. L’imparzialità, come giustamente fa rilevare lo stesso GN, sta nel prendere come pietra di paragone la Costituzione. Ergo, scrivere “al momento di salire al Colle militava ancora diligentemente nell’ex Pci. Il che non è una garanzia di imparzialità” è puramente puerile. Nessuno, usando il medesimo parametro, può esserlo. L’errore, semmai, del Presidente della Repubblica è stato quello di aver fatto passare il testo in prima istanza. Di non aver sottolineato i cosiddetti “rilievi di incostituzionalità”. Da questo punto di vista, sì, anche Napolitano esce sconfitto da tutta questa faccenda – ha questo potere e questa responsabilità, e scenate come quella dell’altro giorno con quel cittadino che gliene chiedeva conto, sono del tutto fuori luogo. Ma procediamo.
Feltri fa notare che il Paese è piombato in un clima da guerra civile. È vero. Dal 1994, dal discorso della “scesa in campo di Berlusconi”, quando fece la sua mitologica distinzione delle due Italie. È da quando ha tracciato quella linea nella sabbia, che è iniziata la Guerra Civile.
Numerosi i rilievi sul lessico iperbolico e vittimista del direttore del Giornale, come sempre impegnato in deformazioni violente e pornograficamente capziose dei fatti, anzi, di alcuni fatti, quelli che gli fanno più comodo. Come ogni bravo villain da film – anzi, come ogni bravo scagnozzo del villain, che ride a ogni battuta poco divertente del capo - lo loda quando dice l’ovvio, lo straloda quando dice il falso. Una domanda ce l’avrei per Feltri: allora, Berlusconi non sbaglia mai, giusto? Ma da che punto di vista viene questa valutazione? Perché Berlusconi è Presidente del Consiglio? Perché Berlusconi è Leader del PdL? Perché Berlusconi, per proprietà intriseca, è Berlusconi, ergo infallibile?
Veneziani inforca con il suo op/eda intitolato “I teppisti chic della sinistra che vogliono sfasciare l’Italia”: che forza, sono un teppista chic. Questa settimana mi hanno definito radical chic, io preferisco geek chic, ma teppista chic è troppo forte. Leggiamo: allora, secondo il nostro Veneziani, siamo in un clima da anni di piombo causato dalla sinistra che ha lanciato la solita campagna d’odio e bla bla bla. Ma fratello, non sono certo io ad avere fatto – ancora – quel discorso quindici anni fa, non sono io a continuare a urlare “sono... e rimarranno sempre... dei... comunisti!” quando tento di farti capire che se ci sono delle regole e delle responsabilità connesse a uno status, queste vanno rispettate, che ti chiami Berlusconi o Carretta. Certo, questa contrapposizione sfocia in frangenti piuttosto ridicolini – le varie gallerie fotografiche sul sito di Repubblica con “siamo tutti farabutti” e così via fanno sorridere: prendere così forzatamente ogni frasi sciocca di un premier che ha evidenti difficoltà di comunicazione, vista l'immane quantità di volte in cui è costretto a rettificare, non porta lontano.
Certe reazioni esasperate, non se ne stupisca l’iperbolico Veneziani, sono prodotto di tempi esasperanti, in cui si tenta di svegliare questa supposta “maggioranza silenziosa”, di affrancarsi dall’omertà, dal silenzio in cui questo squallore etico e questa approssimazione d’azione politica ci stanno gettando. Senza risultato.
Sì, quello di Berlusconi è un Paese che non ci piace, che prende decisioni di stomaco e non di testa, che prende la demagogia come scudo, che generalizza tutto per strumentalizzare – e sappiamo che generalizzare è da idioti, esattamente come è idiota una politica (o supposta tale) esclusivamente fondata sul consenso e sul rilevamento da sondaggio. Ignorare le insidie e l’artificio nascosti in ogni atto politico è stupido, utilizzarli a fine personale è criminale. Si è in politica per il bene comune, se non proprio per il bene superiore.
Le milizie benestanti e acculturate – i teppisti chic - di cui parla Veneziani non sono certo le uniche a parlare, ma non è certo una coincidenza se uomini con diverse storie, culture, mondi sociali, magari un tempo anche contrapposti, puntino il dito contro “l’elefante nella stanza”. Dal sapere viene il senso critico, un senso critico che molta gente ha perso, assopita da prodotti anestetici, fatti per trasformarli in infrastrutture del consenso, abituarli all’adesione, alla promessa fantasmagorica di una vita kitsch, a-problematica e compiaciuta, una fiera delle piccole grandi furbizie con cui si possono scavalcare le regole. Quelle regole che esistono a favore di tutti. Il problema è affrontare i problemi, ma affrontarli davvero, insieme. Che tutto questo si trasformi nel solito pessimismo “italiota” autoindotto e altrettanto demagogico fa parte del gioco.
Ma anche qui, conoscere, osservare quanto più criticamente e “distaccatamente” possibile il mondo, interpretarlo, aiuterebbe molto più dell’indagine giornalistica più completa, della sentenza di Consulta più illuminata, del comizio più efficace ed emozionante.
È paradossale poi come si denunci la divisione e la violenza di una parte politica, quando all’interno della propria si esige l’omogeneità assoluta di pensiero e parola. Non la coerenza ai principi che si vanno millantando – fortunatamente di radio, almeno per gli ex FI e gli “ufficiali di collegamento” come Gasparri -, ma proprio l’assoluto appiattirsi alla linea. Ma d’altronde, chi non è allineato è un comunista. Chi esagera e ricatta, è un alleato prezioso. Ma troppo pericoloso per rischiare elezioni anticipate e scheggiare un po’ la propria immagine di leader eletto dal popolo. “Volontà popolare”, “eletto dal popolo”, per quanto legittimati dalla gente, non si ha nemmeno il rispetto di riconoscergli un’intelligenza, una possibilità di scelta, la possibilità che la fiducia che si ha avuto dev’essere onorata rispettando il principio del bene superiore.
C’è tanto da dire, e ci tornerò. Ero partito con l’idea di fare qualcosa di molto più scanzonato, ma leggere il Giornale è un’esperienza tanto stimolante quanto offensiva. Mi fermo a pagina tre.
Però sta copia la conservo per i momenti di quiete. A futura memoria.