È finito. Anche quest'anno tutto il Carrozzone Sanremese è andato a sfrangersi scomposto contro le mie pupille incredule, scavando insperati e deliziosi vertici di trashissimo squallore e di conseguente e autentico divertimento. Ammàzzate che apertura.
Tanto per dimostrarvi che questo blog esiste ancora, eccovi una bella mega-recensione scritta in un mese circa su quello che possiamo oggettivamente definire "il Festival a immagine e somiglianza della sua conduttrice" - con tutto ciò che ne consegue. Nel male.
Neanche da dire, questo intervento lungo e non-richiesto è autorizzato, citando la coppia ormai stabile (alla faccia del rispetto delle tradizioni canoniche di un bigamo, si potrebbe malignamente commentare) Enzo Ghinazzi - Emanuele Umberto Reza Ciro René Maria Filiberto di Savoia, dal fatto che credo nella mia cultura e nella mia religione, per questo io non ho paura di esprimere la mia opinione. Trovate l'intruso.
Passiamo quindi all'argomento regino della kermesse, le canzoni (anche perchè essendo festival della Canzone Italiana, ed essendo io collaboratore di una rivista di musica italiana, non si scappava. Per non far torto a nessuno, andrò in ordine alfabetico per interprete.
Arisa - Malamorenò
L'anno scorso l'abbiamo sperticatamente lodata come nuovo standard della canzone all'italiana. Segretamente, speravamo che sarebbe, col tempo, arrivato un passo in meglio, verso un'autenticità (il vero quid del personaggio Arisa) che non passasse necessariamente attraverso dei pezzi esageratamente ruffiani, orecchiabili fino all'usura e buonistissimi. Niente da fare, si è cavalcata l'onda e Malamorenò fa ammosciare le gonadi. Da antologia lo scenario post-apocalittico in cui << Può scoppiare in un attimo il sole / Tutto quanto potrebbe finire>> , non fosse che << A volte basta che ci sei / Perché a me basta che sei qui vicino / Perchè a me basta che ci sei>>. Come direbbe il regista Enzo Castellari: mej cojoni!
Preziose comunque gli interventi delle Sorelle Marinetti, e la versione "aristocats" della serata degli ospiti con Lino Patruno Jazz Band.
Malika Ayane - Ricomincio da qui
Tre minuti e mezzo belli densi per un pezzo scritto a quattro mani dalla splendida Malika e dal prestante Gino "Pacifico" De Crescenzo al testo, servito su una confezioncina musicale sofisticata e vagamente bacharachiana di Ferdinando Arnò. Un brano impalpabile e sorridente, che decoprime quel magnifico istante di incertezza e stupore del realizzare che mannaggia è proprio vero, mi sono innamorato per davvero. Per chi scrive - e non solo - il pezzo qualitativamente migliore del Festival, penalizzato forse dalla mancanza dell'immediatezza e dell'orecchiabilità della hit dell'anno scorso Come foglie - "difetto", se di difetto si tratta, che non ne sta affatto danneggiato le vendite.
Non mi ci soffermo troppo, avrebbe meritato di vincere, perla nello sterco, bla, bla, bla e bla, bla, bla.
Simone Cristicchi - Menomale
Sentendo e leggendo in giro dei commenti su questa canzone, ancora mi stupisco di come a tanta, tanta, tanta gente sia davvero estraneo il concetto di ironia (e non umorismo o semplice comicità, attenzione: intendo, banalizzando, un discorso il cui significato letterale è l'opposto rispetto a quanto realmente si vuole dire), cosa che purtroppo ha penalizzato la percezione di questo pezzo, salutato come banale tormentone da un pubblico impellicciato dall'orecchio evidentemente un po' superficiale, e, ancora, dalla preparazione culturale piuttosto terra-terra.
Oltre a queste notazioni, il brano non è un capolavoro: è l'ennesima incarnazione delle demo-caustiche critiche sociali cristicchiane, ma con un maggior mordente, grazie alla penna acuta di Frankie Hi Nrg al testo e all'innesto crossover di chitarre e fanfara gloriosa nel ritornello.
Vale quindi anche l'opposto del commento iniziale: da alcuni è stato salutato come grande pezzo di critica, quando non ne ha proprio la stoffa, nonostante le liriche abbastanza indovinate (l'accostamento Wojtjla - Bin Laden non l'ha colto praticamente nessuno). Per quanto simpaticamente graffianti, in questo tipo di pezzi semplicemente manca il respiro argomentativo per costruire bene un discorso, che per come è svolto risulta un pochetto qualunquista.
Toto Cutugno - Aeroplani
Lei è una stronza e lo fa soffrire, lui per ricucire adotta la formula scordammoc'o'passate. Nel processo, Toto riesce a fare esplodere un muscolo cardiaco. Grossa stima. Carissimo, va bene l'amore, ma lo capisci che la scopa nel culo è dietro l'angolo?
Il pezzo è stato palesemente riciclato da un Sanremo del primo millennio a.C., il testo è tirato via e la musica è fin troppo ambiziosa. L'abbiamo visto: Toto, reduce dalla sua malattia, sembra posseduto dal fantasma di Joe Cocker, solo stonato. Cher avrebbe rimediato con un po' di vocoder, ma Cutugnone non si sa limitare e scrive esplicitamente una canzone che non è in grado di cantare. Solidarietà per l'accaduto, ma un po' di dignità...
Nino D'Angelo e Maria Nazionale - Jammo ja
La riscossa del Sud è affidata al Yousson Dour del Golf'e'Nappule, in quella che è chiaramente la risposta a Italia amore mio, per mancanza di autoreferenzialità e vanità. Emerge sanguigno l'impulso a tirarsi su le maniche - sempre dopo il caffè, la pennica, eccetera eccetera. La canzone non brilla per originalità, ma almeno è onesta e non gioca sugli stereotipi e clichè che di solito uccidono nella culla questo tipo di brani (Gigi Finizio, non sei dimenticato, tu e il tuo orgoglio terrone).
Irene Fornaciari feat. Nomadi - Il mondo piange
Lei è la reincarnazione del padre, vocalmente, ma soprattutto fisicamente. Guardatela in faccia, le manca la barba.
Il brano si fa ascoltare: è praticamente un brano dei Nomadi (anche se paradossalmente potevano starsene a casuccia), compreso messaggio di abbraccio universale (che poi, perchè il mondo piange?), con dei punti presi direttamente dal Fornaciari sbagliato. Sì, il padre. Un applauso per la parrucca di Danilo Sacco, che riesce a vibrare anche attraverso il misero verso che gli è stato ritagliato.
Attendiamo il nuovo CD-ROM dei Nomadi, dopo il successo di "Dove si va?".
Irene Grandi - La cometa di Halley
Lei spacca sempre, anche se non si devasta di alcool più come un tempo. Peccato.
Ci riprova la premiata ditta Baustelle-Grandi dopo il successo di Bruci la città, con questo pezzo che di Baustelle ne ha fin troppo. E uno dice: "va beh, che ti lamenti? Mica sono i Finley." E infatti mica mi sto lamentando.
Il testo ha tutto il sapore da ascetico di Piazza Vittoria un po' fissato con la figa di Bianconi (il cantante dei Baustelle), su una relazione amorosa andata a spegnersi nella stanchezza e nelle elucubrazioni di lui. Solo quando lei si rompe il cazzo, lui si sveglia. Ma è troppo tardi. Segue simpatica citazione invertita dei Beatles: "you say goodbye, and i say hello" diventa "io ti dico addio, tu mi dici ciao". E soprattutto non c'è il tutto sesso orale di Bruci la città! Mannaggia a Bianconi!
Fa storcere il naso l'arrangiamento un po' piattuzzo, per un pezzo che diventa prezioso solo perchè spunta dalla media mediocrissima di quest'anno.
Marco Mengoni - Credimi ancora
Parte come l'inferno, sembra che deve spaccare l'Universo. Poi se ne dimentica. E lo immagino, cantare così bene stanca.
Un peccatone, l'xX-Factor (leggasi ex-X-Factor) ha la stoffa per pezzi molto più validi di questo, mediocre testualmente e precocemente appesantito negli arrangiamenti malgrado le piacevoli scaramucce orchestrali sul bridge.
Fabrizio Moro - Non è una canzone
Moro porta la ganja a Sanremo, giusto perchè tra tanti fiori mancava solo quella pianticella lì. Fatti come delle balle di fieno, ecco tutti a ballare tentando una riflessione sull'etica e morale. Purtroppo, anche qui vale un po' il discorso fatto a proposito di Cristicchi, con l'aggravante che metà del testo sembra fatta di parole qualunque piazzate lì ad minchiam, un po' come l'arrangiamento dei fiati sul secondo refrain.
Noemi - Per tutta la vita
Noemi potrebbe cantare all'Osteria di Gigi lo Stronzo e si bagnerebbe anche il forno a legna. Cioè, dai, sentitela, ti graffia le pareti dell'anima.
Vale il discorso di Mengoni, pezzo un po' improvvisato (anche se in suggestivo crescendo), che però lei potenzia a dovere. Questa ragazza ha davvero bisogno di autori seri dietro. Niente doppi sensi, please.
Terza canzone in cui esplode qualcosa, un record positivo per questo Sanremo.
Povia - La verità
La verità è che l'ho ascoltata 13 volte e non ho ancora capito qual è la tesi. Povia è famoso per i suoi pezzi ciellini, poi capziosamente omofobi. Stavolta, quando finalmente deve tirare la bomba da cento... niente, si ritira, dice un po' questo, un po' quello, così ognuno la legge come gli pare, basta "l'argomento" a fare pubblicità. E le violoncelliste fighe.
Il mio sospetto è questo: secondo Povia, il pericolo principale dell'interruzione dell'accanimento terapeutico è che lo spirito del deceduto possa rimanifestarsi sottoforma di brividi sotto la pelle.
Per il resto, il solito Povia sobrio che argomenta con razionalità su tematiche scottanti.
Pupo, Emanuele Filiberto, Luca Canonici - Italia amore mio
Al pari del pezzo di Scanu, è una fucilata di una gavettonata di un polpettone di un minestrone. Solo che se Scanu mira alle balle, il Ghinazzi-Savoia mira direttamente al cuore.
La prima strofa è il manifesto (o meglio, l'abborracciata somma) di tutto ciò che vorrebbe essere il minimo comune denominatore del popolo italico (già ben sintetizzato dalla proverbiale "popolo di Santi, Navigatori e Poeti"): le "tradizioni", la "famiglia", la "giustizia", compresa quella sociale., la "religione" (che non si spiega perchè credere in tutte queste cose legittimi qualsiasi cosa a dire una sua propria opinione, quando per farlo bisogna conoscerle, le cose. E vi garantisco che le due cose non sempre vengono di pari passo). E fin qui "ok".
Poi cominciano le bestemmie storiche. Cito: "io sento battere più forte / il cuore di un'Italia sola / che oggi più serenamente / si rispecchia dentro la sua storia". Considerati i duelli che a ogni celebrazione storica si fanno su revisionismo e simili, questa affermazione è completamente fuori dalla realtà. L'understatement è che il processo di revisionismo sta andando alla perfezione, fregandosene del fatto che si sta appiattendo tutta la Seconda Guerra Mondiale a un grigiore morale assoluto, senza porre alcun paletto. Se la storia la scrivono i Vincitori, la Memoria la ri-scrivono i figli dei Vinti.
Per farla breve e senza lanciarmi in crociate che qui non hanno senso, riassumiamo: "più serenamente" un paio di balle, Fili.
Sorvoliamo su Lele che stringe l'Italia tra le sue braccia (quando ben si conosce il sonoro schifo che i Savoia hanno dedicato al nostro Paese per decenni), la seconda strofa è un capolavoro di comicità involontaria, sullo sfondo di una deliziosa fellatio alla figura di PhilpBert, che diventa lo scintillante eroe umile ed ingiustamente punito (beh, non che lui abbia colpe, sinceramente. A parte la candidatura all'Udc). Puro melodramma, come ci piace a noi.
Tutto questo su un misturone musicale che si lancia in demenzialità operistiche (ricalcate su Somewhere over the Rainbow), con ridicoli contrappunti di mandolino synth che tanto fanno Nappule. Perchè, se ci pensate, mancava proprio "Mandolino, Mamma e Pizza".
Poi "Italia amore mio".... Cos'è? Una fiction con Ezio Greggio e una tettona del Bagaglino? Una trasmissione di Rai2 monopolizzata dalle proloco e dalle Confraternite del Risone in Brodo? Mavava....
Madre mia, ho scritto un casinò.
Enrico Ruggieri - La notte delle fate
La professionalità sta anche nell'umiltà. Ruggieri ha scritto belle canzoni, testi importanti e memorabili, ma sa bene che certi pezzi nascono da epifanie imperscrutabili, e non se la tira. L'artigiano fa bene il suo lavoro: La notte delle fate ne è un tipico esempio. Un testo giustamente poco ambizioso, ma sensibile e sorridente, arrangiamento un po' da svecchiare ma ben tarato sul nostro Enrico, che ci regala le sue vocali fantastiche appena può.
Non vediamo l'ora di sentirla nel prossimo spot del Lines Seta Ultra!
Valerio Scanu - Per tutte le volte che...
Sinceramente, regazzine a parte, in un Paese culturalmente e politicamente decomposto come il nostro, è normale che stravinca un pezzo del genere, e quindi non starò qui a menarla più di tanto.
Semplicemente, il pezzo, nonostante il prezioso mestiere che il Maestro Vessicchio apporta alle orchestrazioni, pare scritto in un anno imprecisato dello scorso secolo. È di un conservatorismo musicale che quasi spaventa, e fa ancora più paura se si considera che a scriverlo è stato un ventenne (dal volto deforme - ma questa è solo una cattiveria gratuita) e a interpretarlo un altro ventenne (con tanto di piercing alla lingua, che fa tanto "sono molto bravo nel sesso orale" - ma questo è solo un'attestato di stima).
Il testo è un capolavoro di svenevolezza romantica all'ennesima potenza, in un polpettone di immagini incontrollate ispirate a quell'amore pornograficamente romantico che "legittimamente" incanta le tredicenni di ogni epoca. E ogni modo, ogni luogo e ogni lago. Davvero, eventuali abbindolati/e dalla profondità sentimentale di questo brano commentino e mi svelino come facciano a prendere sul serio una simile apologia del sesso subacqueo.
Che spero sarà presto reso illegale.
Sonohra - Baby
Se Robert Plant, probabilmente l'uomo che ha urlato "beiibee" più volte nella storia della musica, fosse morto e gli capitasse di sentire questo pezzo, il risultato sarebbe 2012. I Sonohra ci hanno abituato alle loro carinerie adolescenziali rockeggianti, per cui c'è poco da dire, e ancor meno da meravigliarsi. Infatti, il biondino (il terzo fratello Kaulitz, quello deforme, ma l'unico che è riuscito a trasformarsi in SuperSayan - non è il cavo della chitarra, è la coda) ogni volta che si fa vivo si nasconde sempre di più. Attendiamo la scissione tipo Oasis.
E andatevene affanculo voi e la vostra h di merda che ogni volta ci metto un'ora a capire come vi si scrive.
Allora, siete d'accordo?
No?
Ve ne frega una mazza?
Qui sotto c'è lo spazio dei commenti. Ora vado a ritirare la mazzetta della Caselli.
Tanto per dimostrarvi che questo blog esiste ancora, eccovi una bella mega-recensione scritta in un mese circa su quello che possiamo oggettivamente definire "il Festival a immagine e somiglianza della sua conduttrice" - con tutto ciò che ne consegue. Nel male.
Neanche da dire, questo intervento lungo e non-richiesto è autorizzato, citando la coppia ormai stabile (alla faccia del rispetto delle tradizioni canoniche di un bigamo, si potrebbe malignamente commentare) Enzo Ghinazzi - Emanuele Umberto Reza Ciro René Maria Filiberto di Savoia, dal fatto che credo nella mia cultura e nella mia religione, per questo io non ho paura di esprimere la mia opinione. Trovate l'intruso.
Passiamo quindi all'argomento regino della kermesse, le canzoni (anche perchè essendo festival della Canzone Italiana, ed essendo io collaboratore di una rivista di musica italiana, non si scappava. Per non far torto a nessuno, andrò in ordine alfabetico per interprete.
Arisa - Malamorenò
L'anno scorso l'abbiamo sperticatamente lodata come nuovo standard della canzone all'italiana. Segretamente, speravamo che sarebbe, col tempo, arrivato un passo in meglio, verso un'autenticità (il vero quid del personaggio Arisa) che non passasse necessariamente attraverso dei pezzi esageratamente ruffiani, orecchiabili fino all'usura e buonistissimi. Niente da fare, si è cavalcata l'onda e Malamorenò fa ammosciare le gonadi. Da antologia lo scenario post-apocalittico in cui
Preziose comunque gli interventi delle Sorelle Marinetti, e la versione "aristocats" della serata degli ospiti con Lino Patruno Jazz Band.
Malika Ayane - Ricomincio da qui
Tre minuti e mezzo belli densi per un pezzo scritto a quattro mani dalla splendida Malika e dal prestante Gino "Pacifico" De Crescenzo al testo, servito su una confezioncina musicale sofisticata e vagamente bacharachiana di Ferdinando Arnò. Un brano impalpabile e sorridente, che decoprime quel magnifico istante di incertezza e stupore del realizzare che mannaggia è proprio vero, mi sono innamorato per davvero. Per chi scrive - e non solo - il pezzo qualitativamente migliore del Festival, penalizzato forse dalla mancanza dell'immediatezza e dell'orecchiabilità della hit dell'anno scorso Come foglie - "difetto", se di difetto si tratta, che non ne sta affatto danneggiato le vendite.
Non mi ci soffermo troppo, avrebbe meritato di vincere, perla nello sterco, bla, bla, bla e bla, bla, bla.
Simone Cristicchi - Menomale
Sentendo e leggendo in giro dei commenti su questa canzone, ancora mi stupisco di come a tanta, tanta, tanta gente sia davvero estraneo il concetto di ironia (e non umorismo o semplice comicità, attenzione: intendo, banalizzando, un discorso il cui significato letterale è l'opposto rispetto a quanto realmente si vuole dire), cosa che purtroppo ha penalizzato la percezione di questo pezzo, salutato come banale tormentone da un pubblico impellicciato dall'orecchio evidentemente un po' superficiale, e, ancora, dalla preparazione culturale piuttosto terra-terra.
Oltre a queste notazioni, il brano non è un capolavoro: è l'ennesima incarnazione delle demo-caustiche critiche sociali cristicchiane, ma con un maggior mordente, grazie alla penna acuta di Frankie Hi Nrg al testo e all'innesto crossover di chitarre e fanfara gloriosa nel ritornello.
Vale quindi anche l'opposto del commento iniziale: da alcuni è stato salutato come grande pezzo di critica, quando non ne ha proprio la stoffa, nonostante le liriche abbastanza indovinate (l'accostamento Wojtjla - Bin Laden non l'ha colto praticamente nessuno). Per quanto simpaticamente graffianti, in questo tipo di pezzi semplicemente manca il respiro argomentativo per costruire bene un discorso, che per come è svolto risulta un pochetto qualunquista.
Toto Cutugno - Aeroplani
Lei è una stronza e lo fa soffrire, lui per ricucire adotta la formula scordammoc'o'passate.
Il pezzo è stato palesemente riciclato da un Sanremo del primo millennio a.C., il testo è tirato via e la musica è fin troppo ambiziosa. L'abbiamo visto: Toto, reduce dalla sua malattia, sembra posseduto dal fantasma di Joe Cocker, solo stonato. Cher avrebbe rimediato con un po' di vocoder, ma Cutugnone non si sa limitare e scrive esplicitamente una canzone che non è in grado di cantare. Solidarietà per l'accaduto, ma un po' di dignità...
Nino D'Angelo e Maria Nazionale - Jammo ja
La riscossa del Sud è affidata al Yousson Dour del Golf'e'Nappule, in quella che è chiaramente la risposta a Italia amore mio, per mancanza di autoreferenzialità e vanità. Emerge sanguigno l'impulso a tirarsi su le maniche - sempre dopo il caffè, la pennica, eccetera eccetera. La canzone non brilla per originalità, ma almeno è onesta e non gioca sugli stereotipi e clichè che di solito uccidono nella culla questo tipo di brani (Gigi Finizio, non sei dimenticato, tu e il tuo orgoglio terrone).
Lei è la reincarnazione del padre, vocalmente, ma soprattutto fisicamente. Guardatela in faccia, le manca la barba.
Il brano si fa ascoltare: è praticamente un brano dei Nomadi (anche se paradossalmente potevano starsene a casuccia), compreso messaggio di abbraccio universale (che poi, perchè il mondo piange?), con dei punti presi direttamente dal Fornaciari sbagliato. Sì, il padre. Un applauso per la parrucca di Danilo Sacco, che riesce a vibrare anche attraverso il misero verso che gli è stato ritagliato.
Attendiamo il nuovo CD-ROM dei Nomadi, dopo il successo di "Dove si va?".
Irene Grandi - La cometa di Halley
Lei spacca sempre, anche se non si devasta di alcool più come un tempo. Peccato.
Ci riprova la premiata ditta Baustelle-Grandi dopo il successo di Bruci la città, con questo pezzo che di Baustelle ne ha fin troppo. E uno dice: "va beh, che ti lamenti? Mica sono i Finley." E infatti mica mi sto lamentando.
Il testo ha tutto il sapore da ascetico di Piazza Vittoria un po' fissato con la figa di Bianconi (il cantante dei Baustelle), su una relazione amorosa andata a spegnersi nella stanchezza e nelle elucubrazioni di lui. Solo quando lei si rompe il cazzo, lui si sveglia. Ma è troppo tardi. Segue simpatica citazione invertita dei Beatles: "you say goodbye, and i say hello" diventa "io ti dico addio, tu mi dici ciao". E soprattutto non c'è il tutto sesso orale di Bruci la città! Mannaggia a Bianconi!
Fa storcere il naso l'arrangiamento un po' piattuzzo, per un pezzo che diventa prezioso solo perchè spunta dalla media mediocrissima di quest'anno.
Parte come l'inferno, sembra che deve spaccare l'Universo. Poi se ne dimentica. E lo immagino, cantare così bene stanca.
Un peccatone, l'xX-Factor (leggasi ex-X-Factor) ha la stoffa per pezzi molto più validi di questo, mediocre testualmente e precocemente appesantito negli arrangiamenti malgrado le piacevoli scaramucce orchestrali sul bridge.
Fabrizio Moro - Non è una canzone
Moro porta la ganja a Sanremo, giusto perchè tra tanti fiori mancava solo quella pianticella lì. Fatti come delle balle di fieno, ecco tutti a ballare tentando una riflessione sull'etica e morale. Purtroppo, anche qui vale un po' il discorso fatto a proposito di Cristicchi, con l'aggravante che metà del testo sembra fatta di parole qualunque piazzate lì ad minchiam, un po' come l'arrangiamento dei fiati sul secondo refrain.
Noemi - Per tutta la vita
Noemi potrebbe cantare all'Osteria di Gigi lo Stronzo e si bagnerebbe anche il forno a legna. Cioè, dai, sentitela, ti graffia le pareti dell'anima.
Vale il discorso di Mengoni, pezzo un po' improvvisato (anche se in suggestivo crescendo), che però lei potenzia a dovere. Questa ragazza ha davvero bisogno di autori seri dietro. Niente doppi sensi, please.
Terza canzone in cui esplode qualcosa, un record positivo per questo Sanremo.
Povia - La verità
La verità è che l'ho ascoltata 13 volte e non ho ancora capito qual è la tesi. Povia è famoso per i suoi pezzi ciellini, poi capziosamente omofobi. Stavolta, quando finalmente deve tirare la bomba da cento... niente, si ritira, dice un po' questo, un po' quello, così ognuno la legge come gli pare, basta "l'argomento" a fare pubblicità. E le violoncelliste fighe.
Il mio sospetto è questo: secondo Povia, il pericolo principale dell'interruzione dell'accanimento terapeutico è che lo spirito del deceduto possa rimanifestarsi sottoforma di brividi sotto la pelle.
Per il resto, il solito Povia sobrio che argomenta con razionalità su tematiche scottanti.
Al pari del pezzo di Scanu, è una fucilata di una gavettonata di un polpettone di un minestrone. Solo che se Scanu mira alle balle, il Ghinazzi-Savoia mira direttamente al cuore.
La prima strofa è il manifesto (o meglio, l'abborracciata somma) di tutto ciò che vorrebbe essere il minimo comune denominatore del popolo italico (già ben sintetizzato dalla proverbiale "popolo di Santi, Navigatori e Poeti"): le "tradizioni", la "famiglia", la "giustizia", compresa quella sociale., la "religione" (che non si spiega perchè credere in tutte queste cose legittimi qualsiasi cosa a dire una sua propria opinione, quando per farlo bisogna conoscerle, le cose. E vi garantisco che le due cose non sempre vengono di pari passo). E fin qui "ok".
Poi cominciano le bestemmie storiche. Cito: "io sento battere più forte / il cuore di un'Italia sola / che oggi più serenamente / si rispecchia dentro la sua storia". Considerati i duelli che a ogni celebrazione storica si fanno su revisionismo e simili, questa affermazione è completamente fuori dalla realtà. L'understatement è che il processo di revisionismo sta andando alla perfezione, fregandosene del fatto che si sta appiattendo tutta la Seconda Guerra Mondiale a un grigiore morale assoluto, senza porre alcun paletto. Se la storia la scrivono i Vincitori, la Memoria la ri-scrivono i figli dei Vinti.
Per farla breve e senza lanciarmi in crociate che qui non hanno senso, riassumiamo: "più serenamente" un paio di balle, Fili.
Sorvoliamo su Lele che stringe l'Italia tra le sue braccia (quando ben si conosce il sonoro schifo che i Savoia hanno dedicato al nostro Paese per decenni), la seconda strofa è un capolavoro di comicità involontaria, sullo sfondo di una deliziosa fellatio alla figura di PhilpBert, che diventa lo scintillante eroe umile ed ingiustamente punito (beh, non che lui abbia colpe, sinceramente. A parte la candidatura all'Udc). Puro melodramma, come ci piace a noi.
Madre mia, ho scritto un casinò.
Enrico Ruggieri - La notte delle fate
La professionalità sta anche nell'umiltà. Ruggieri ha scritto belle canzoni, testi importanti e memorabili, ma sa bene che certi pezzi nascono da epifanie imperscrutabili, e non se la tira. L'artigiano fa bene il suo lavoro: La notte delle fate ne è un tipico esempio. Un testo giustamente poco ambizioso, ma sensibile e sorridente, arrangiamento un po' da svecchiare ma ben tarato sul nostro Enrico, che ci regala le sue vocali fantastiche appena può.
Non vediamo l'ora di sentirla nel prossimo spot del Lines Seta Ultra!
Sinceramente, regazzine a parte, in un Paese culturalmente e politicamente decomposto come il nostro, è normale che stravinca un pezzo del genere, e quindi non starò qui a menarla più di tanto.
Semplicemente, il pezzo, nonostante il prezioso mestiere che il Maestro Vessicchio apporta alle orchestrazioni, pare scritto in un anno imprecisato dello scorso secolo. È di un conservatorismo musicale che quasi spaventa, e fa ancora più paura se si considera che a scriverlo è stato un ventenne (dal volto deforme - ma questa è solo una cattiveria gratuita) e a interpretarlo un altro ventenne (con tanto di piercing alla lingua, che fa tanto "sono molto bravo nel sesso orale" - ma questo è solo un'attestato di stima).
Il testo è un capolavoro di svenevolezza romantica all'ennesima potenza, in un polpettone di immagini incontrollate ispirate a quell'amore pornograficamente romantico che "legittimamente" incanta le tredicenni di ogni epoca. E ogni modo, ogni luogo e ogni lago. Davvero, eventuali abbindolati/e dalla profondità sentimentale di questo brano commentino e mi svelino come facciano a prendere sul serio una simile apologia del sesso subacqueo.
Che spero sarà presto reso illegale.
Sonohra - Baby
Se Robert Plant, probabilmente l'uomo che ha urlato "beiibee" più volte nella storia della musica, fosse morto e gli capitasse di sentire questo pezzo, il risultato sarebbe 2012. I Sonohra ci hanno abituato alle loro carinerie adolescenziali rockeggianti, per cui c'è poco da dire, e ancor meno da meravigliarsi. Infatti, il biondino (il terzo fratello Kaulitz, quello deforme, ma l'unico che è riuscito a trasformarsi in SuperSayan - non è il cavo della chitarra, è la coda) ogni volta che si fa vivo si nasconde sempre di più. Attendiamo la scissione tipo Oasis.
E andatevene affanculo voi e la vostra h di merda che ogni volta ci metto un'ora a capire come vi si scrive.
Allora, siete d'accordo?
No?
Ve ne frega una mazza?
Qui sotto c'è lo spazio dei commenti. Ora vado a ritirare la mazzetta della Caselli.