buzzoole code A Paul's Life: Borat contro Gibson

sabato 17 marzo 2007

Borat contro Gibson

Non sembra, e probabilmente è un mio mega-pippone mentale, ma Borat è il film anti-repubblicano per eccellenza. Persino Michael Moore è troppo celebrale: Sacha Baron Cohen, protagonista e creatore del giornalista kazako più idiota di tutti i tempi, scatena un missile terra-terra (in ogni senso) contro TUTTI, ma in particolar modo, con la sua verve oltraggiosamente demenziale e surreale, contro quel filone culturale e filmico "neo-teo-con" (per intenderci, tutta quella parte politica conservatrice, individuabile in USA nel Partito Repubblicano guidato da Bush, e assimilabile ai nostrani Alleanza Nazionale e Forza Italia) fiorito negli ultimi anni con "capolavori" quali La Passione di Cristo e Nativity, o il più innocuo Le Cronache di Narnia, e che sicuramente darà alla luce altra progenie.
Ovvio, a un primo livello di lettura, il film pare, se non vomitevolmente volgare e di cattivo gusto, di un umorismo sboccato e gratuito ravvisabile forse solo nella triste sequela di "Scary-Movie"s e misere parodie di fattura simile che infestano e continuano a infestare le sale (fortunatamente, con sempre minor successo). Ma il film pone immediatamente le cose in chiaro: o metti in discussione ciò che sei, ciò che sei abituato a vedere e sentire, oppure puoi tapparti occhi e orecchie e gettare la testa nel pattume adolescenziale a cui alcuni purtroppo apparentano Borat. Forse non è un caso che alle casse la ressa fosse tutta per Ho voglia di te.
Borat è un film cattivissimo, satiricamente intriso di razzismo e pregiudizi fino alle fondamenta, e che di questa immondizia ideologica fa propellente umoristico per gran parte del film: Cohen da questo finto odio primitivo e retrogrado non risparmia nessuno, né ebrei, né cristiani, né donne. E questo è motivato da una critica alla forma mentis teo-con che traspare a più livelli.
Il primo è innanzi tutto la raffigurazione tremendamente sessista e razzista della popolazione kazaka, che si rende paradigma (sì lo so, è una parolona che usano i saccentoni per riempirsi la bocca, ma non trovo sinonimi, gente), benchè estremizzato, della visione distorta e inquinata da odio e paura che ognuno ha del diverso. Dall'altra parte, un impietoso specchio di un'America (e, per estensione, di un mondo occidentale) provinciale, ottusa, egoista e un po' arrogante, che palesemente non si è ancora liberata dal peso di quei macigni di pregiudizio e ipocrisia che da almeno 40 in molti hanno tentato di combattere (e che per molto tempo ci si è vantati di aver sconfitto al punto da poterli esportare, come le "Crociate per la Libertà" di questi ultimi anni dimostrano), e che per certi versi fanno un po' da fondamento a tutta l'ideologia teo-dem (ora, sto dipingendo sti poveri cristi come il diavolo, ma non è che loro facciano molto per smentirmi...).
A un secondo livello, abbiamo Borat, uno straniero, un "nemico" per certi versi, proveniente da un Paese poco "civilizzato" (o poco "americanizzato", come dice una delle vittime di Cohen, commentando i modi inappropriati del personaggio), che tenta disperatamente di aderire a uno stile di vita e a valori che non possono appartenergli, in quanto inesorabilmente difformi, e questo nonostante tutti i tentativi dell'ingenuo protagonista di far combaciare gli opposti in nome "dell'amicizia a Paese più forti di mondo". È questa la nota più recondita e malinconica del film: un "disadattato", un invasore
per certi versi che vuole farsi invadere ma non ci riesce, opposto agli "invasi" veri e grondanti sangue dei vari scenari mediorientali, un ingenuo spinto da una mission, da una fede nell'Occidente e in quel che rappresenta. Qui si inserisce uno degli elementi più surreali del film: l'innamoramento di Borat per la Grande Diva (decandente e un po' puttana) Statunitense (Pamela Anderson per la cronaca), una sorta di "Madonna" del Sistema, l'incarnazione del sogno americano del protagonista, comprese le varie dietrologie anti-consumistiche che potrei propinarvi ma che poco hanno a che fare con la realtà dei fatti.
Ed eccoci al terzo livello di dissacrazione del nostro film, e che è stato quello che mi ha spinto a scrivere questa sorta di recensione: Borat è una parodia dei film di Gibson e del mondo teocon che gli sta dietro.
Emblematiche due sequenze, le migliori della pellicola, a mio giudizio: quella del Rodeo, con Borat che, dopo aver conosciuto un organizzatore tremendamente omofobo e razzista, inneggia alla guerra totale di Bush, con boato di fischi finale sulla versione storpiata dell'inno statunitense; ma in particolare quella della messa, dove Borat assiste a una funzione di un predicatore (sapete, i classici predicatori con seguito di fedeli invasati e sciamannati), che nella sua "omelia" tocca un po' tutti i fondamenti del teoconservatorismo: esaltazione della repubblica teocratica cristiana, del creazionismo, esposizione di politicanti locali che trovano facile sostegno in una folla che dà pericolosi segni di fantatismo. Eccole: se avete visto il film, si commentano da sole. Senza che Borat faccia particolari interventi, specie nella seconda delle due, c'è il concentrato di boriosità e piccolezza di una parte del Paese. Nel suo smontare la varia cinematografia teo-con, Borat si pone, volontariamente o meno, contro Gibson, contro una folle esaltazione e spettacolarizzazione splatter del messaggio cristiano per una folla di gente che ha indubbiamente e comprensibilmente bisogno di credere, ma che finisce per prendersene gioco, inculcando valori e assiomi agghiaccianti di cui sarebbe meglio parlare a parte (rischio pastrugnone incombente). Una scelta stilistica che ho trovato davvero geniale, se può essere interpretata in questo senso, è quella della crudezza oltraggiosa che caratterizza la pellicola, e che rispecchia l'operazione parallela fatta da Gibson per entrare nei cervelli dei suoi spettatori, parodiandola in modo a mio avviso efficacissimo.

Epilogo: Borat non è il film perfetto. Borat ha il fottuto difetto di perdersi in se stesso, ha una seconda parte che perde di ritmo ed è sicuramente meno divertente e un po' troppo facile alla volgarità gratuita rispetto alla prima; e probabilmente è un po' troppo restio a far vedere il gran paio di coglioni che ci son voluti solo per concepirlo (se solo la metà delle masturbazioni mentali con cui vi ho tediato finora ha fondamento...). Ma porca troia, è un gran film.
Ora, vi lascio commentare: il film è controverso e sono molto interessato a leggere le vostre reazioni alla pellicola (un minimo di argomentazione, please).


Freak out!
Paolo

1 commento:

  1. Ma che bella recensione! :-)
    Devo dire che mi trovo d'accordo con quello che hai scritto riguardo al film, l'idea è bella, e se lo si sa interpretare è un film che dà diversi spunti di riflessione. Però in certi pezzi è un pò troppo pesante... devo ammettere che verso la fine non vedevo l'ora che arrivassero i titoli di coda... (io e la mia ignoranza) Però è indubbiamente da vedere!
    Thanks Giandale

    RispondiElimina