buzzoole code A Paul's Life: Vedi Salerno e poi torni - Day 6

venerdì 7 agosto 2009

Vedi Salerno e poi torni - Day 6

Day 6 - 30/07/2009
ore 12.10 - Simone rientra in camera alle 6 del mattino, accompagnato dal clangore della borsa dei vuoti di birra. Meravigliosamente, un paio d'ore dopo è up and running pronto per la gitarella a Erchie che Riccardo ha messo insieme, guest starring Marta, Federica, Francesca e Sole. Simone riepiloga gli ultimi capitoli del Party on the Roof, che hanno visto protagonisti Martino - che ieri sera, appena si è scheggiato il collo di una bottiglia di birra, ha rotto la sua flemma proverbiale con un "cazzo fai?" - e Nicola, che hanno aspettato le 7 per andare direttamente a fare colazione con un buon Montenegro. E poi andarsi ad ammazzare di sonno.
Saliamo sul pullman SITA che ci porta ad Erchie, ma non azzecchiamo la discesa e finiamo a Maiori. Beh, poco male, l'importante è il mare: ci accaparriamo una bella metà di mellone e ci dirigiamo verso la spiaggia libera. O meglio, raggiungiamo la spiaggia libera alla fine del tratto di costiera, solo per scoprire che c'era un percorso che portava direttamente lì.

ore 15.30 - La mattinata trascorre serenamente, tra bagni in mare, rimembranze infantili dei frammenti di vetro smussati dall'acqua e senza pranzo... d'altronde, l'anguria ci sazia a sufficienza. Mi vengono commissionati altri disegni, che eseguo sotto il Sole a picco con la sola copertura dei pantaloncini, che metto sulla testa, grondando sudore anche dalle pupille.
Presto, sono già le 14.35, e dobbiamo essere di ritorno a Salerno per l'ultimo Laboratorio con il mitico Roberto Lombardi: il pullman di ritorno è sovraffollato e la strada un po' troppo tendente al curvilineo - stranamente vado in nausea anche se solitamente non soffro-, per cui mi concentro sull'unica cosa possibile le caricature. Faccio in tempo a farne tre (la triade Miki Gorizia, Paolo Apolito e Lombardi), mentre qualche ragazzina adocchia e commenta il mio lavoro - più tardi, Francesca mi chiederà se ho mai cuccato con i disegni. La risposta è no, e proprio per la sindrome del chitarrista che spiegavo la sera precedente: il chitarrista suona, gli altri limonano. Dura la vita dell'artista.

ore 18.45 - Giunti a Santa Sofia, facciamo la conoscenza di Eva, il bellissimo cane di Apolito che scorrazza indisturbata nella sala prove. Lombardi chiude i fili in sospeso con gli argomenti dell'incontro precedente, e ci lascia un po' di terreno per parlare degli ultimi giorni. È partito un forum davvero interessante... peccato per l'assenza dei residenti, ma Lombardi ci spiega subito che per vari motivi non è stato loro possibile presenziare. Comunque, è stato un fertilissimo terreno di confronto, in cui abbiamo parlato sia delle singole esperienze artistiche (con particolare riguardo allo spettacolo dei Kol, che ha ricevuto forti apprezzamenti), sia sull'organizzazione dell'evento (e qui, applausi continui a Chiara, che ci ha fatto vergognare un po' meno del nostro lussuoso soggiorno al GHS, che, ci rivela, è costato pochissimo), che molti di noi avrebbero voluto più incentrata sul confronto e sulla "formazione", cosa riuscita solo in parte, per stessa ammissione di Apolito e Lombardi, anche a causa di tagli di budget e rivolgimenti burocratici.

ore 21.35 - A fine laboratorio, ci fermiamo un po' a scambiare qualche battuta. Finalmente, sono arrivati i cataloghi, in quantità industriali. Ognuno ne porterà a casa un chilo, e si divertirà a sfottere gli altri per le loro biografie bizzarre. Rileggo la mia, e mi fa schifo.
Poi, tutti a Sant'Apollonia per l'installazione audio di Dario Lazzaretto "Male magnum" e quella fotografica di Natalia Saurin.
La prima è un'opera brillante e lucida nella forma - l'ipocrita dogmaticità della filosofia del reality show inscenata attraverso una finta liturgia con voce salmodiante che recita il regolamento del Grande Fratello in latino -, ma smussata nelle finalità: per quanto sia induscutibile che questa forma mentis degenere e superficiale stia dilagando (e, me ne fregio, ne ho parlato anch'io in "Tanto vale tutto"), siamo davvero sicuri che sia un tale "tabù" parlarne? Piuttosto, una critica dovrebbe indirizzarsi a corrodere le fondamenta di questa idiot-logia, non ha denunciato un problema che - de facto - esiste relativamente. meglio, non è un tabù vero e proprio, quanto un sonno della coscienza, ma qui, come dichiarato dall'autore, l'oggetto di critica è altro. È il tabù medesimo. Male Magnum va però ricollegata all'altra installazione audio, quella presente in The Experiment (vedasi Day 4), dove il tabù è quello del parlare del Potere e, nello specifico, del potere mafioso: qui la parola tabù ha indubbiamente più senso, anche se permane una critica che, a mio parere, tenta di forzare il lucchetto senza riuscirci. È un discorso che andrebbe approfondito.
L'altra è una ricerca a metà fra Casa e Chiesa, con alcune vecchie signore salernitane fotografate con i coltelli usati nella quotidianità sullo sfondo delle tovaglie della festa: sono piccole religioni domestici, a metà tra sacralità e ironia, di Madonne dolorose che hanno portato avanti famiglie intere sul groppone. Ok, l'ho copiato paro paro da quello che ha detto lei, ma c'è poco altro da dire, oltre che al fatto che è un lavoro non immediatissimo, ma "incuriosente".
Dopo la visita, riempiamo la libera uscita fino alle 21 assistendo al soundcheck dei Ministri in Piazza Gioia. Certo che Davide, il cantant-bassista, capelli cortissimi e petto nudo e glabro, sembra davvero un dodicenne... Il simpatico cantore, finita la massiccia prova dei suoni, saluta una signora affacciata alla finestra con "Non si preoccupi, signora, abbiamo finito!". Che compagnone.
Tra una mozzarellina per coprire il buco allo stomaco e l'altra, ci rechiamo a Palazzo Genovese, dove sta per iniziare Una valigia piena di dollari, monologo di e con Carla Vitantonio, nello scenario di due scalinate simmetriche che danno su un cortiletto. Davide è esaltato dalla cornice scenica: effettivamente, l'impatto visivo e acustica sono tali che farci un concerto sarebbe quantomeno superbo.
Lo spettacolo parte dalla reale esperienza d'infanzia e adolescenza dell'attrice, che ricostruisce episodi della sua infanzia in Molise sul filo di una nostalgia affettuosa e riconoscente, tra streghe, lupi mannari e case che scompaiono per via delle frane e soprattutto del terremoto. E proprio il terremoto costituisce una sorta di altro personaggio della vicenda, con cui dover convivere. La protagonista è bravissima, non c'è che dire: riesce a tenere il pubblico restando mezz'ora seduta - certo, estendosi, narrando con il corpo, richiudendosi, recitando insomma, ma seduta -, con una dinamicità non indifferente, su un testo brillante e coinvolgente. L'unica nota negativa, se vogliamo proprio fare i cattivi, è un po' l'automatismo della risata: certi momenti sembrano costruiti necessariamente per far ridere, per spingere il dato bottone e scatenare l'ilarità, e non si curano molto di celare "il meccanismo".
Finito lo spettacolo, a cena all'Embarcadero, fiduciosi del fatto che riusciremo a fare in tempo a vedere i Ministri.

ore 2.30 - Speranza disattesa dai fatti: probabilmente il fatto di voler terminare le caricature di Lombardi e quella di Chiara - che non mi soddisfa - mi fanno perdere troppo tempo. Torniamo in piazza a concerto finito, ma in tempo per goderci tutta l'esibizione di Vasco Brondi, aka Le Luci della Centrale Elettrica.
Brondi è praticamente la stella del mondo indie del 2008: il disco, ascoltato la prima volta, dice poco a livello musicale. Incantano i testi, immaginifici, rabbiosi, tesi, saturi, e l'interpretazione, gridata, un interruttore che passa da un setting "normale" e un urlo che raschia le corde vocali, ma musicalmente... sono i soliti accordi... Beh, il live fa cambiare idea anche sulla musica, potente e rabbiosa senza troppe concessioni ai distorsori, sapiente nell'aggiungere una viola ispirata e magica. Brondi visibilmente trae energie da un pubblico che tratta "male" - scaccia chi tende un po' troppo le mani, a fine concerto, dovendo staccare la spina, concede un brano solo acustico non amplificato, e zittisce i fan che tentano di intonare un coro -, ma che esalta con la sola forza delle sue canzoni.
Io e Riccardo, che seguiamo il concerto spalla a spalla, siamo incantati e divertiti, e proseguiamo nell'imitare il buon Brondi fino al ritorno in albergo. Ricordatemi di farlo poco, perchè spacca le corde vocali.
Ci diamo appuntamento al Roof... ma il roof è chiuso. Maledetti matusa, sabotano i nostri incontri ggiovani. Andiamo a trovare un attimo Martino nella stanza-appartamento di Davide e Riccardo: ci apre la porta uno zombie pallido con uno sguardo inconsapevolmente truce e terrorizzante. Abbandoniamo Martino al sonno in tutta fretta, solo per incontrare il mitico clone di Julio Iglesias nel corridoio, che apre la porta, con conseguenze esalazione di miasmi mefitici, e dice "Dai ragazzi, facciamo lo scherzone. Chiamate in reception e dite che le ragazze disturbano... dai! Dai!". Di tutta risposta, gli sorridiamo un po' nauseati e ce ne andiamo.
Ci ritroviamo nella hall, dove, lo sappiamo, si consumeranno gli ultimi saluti: Federica di Forlì partirà in mattinata, i Sidera Ves si infileranno sul loro furgoncino, e i Biellesi prenderanno il treno per casa alle 6 del mattino.
La professoressa di Biella mi ferma per farmi i complimenti per Corteccia, e la cosa mi imbarazza un po': mi dice di aver sentito il quadro particolarmente suo - fino a pochi mesi prima era incinta... insomma, la mia volontà di fare un'immagine embrionale, che esprimesse in potenza la vita di una donna, ha colpito nel segno. Le prometto di mandarle il quadro, e un po' mi emoziono.
Mr. Emotion is Dead, Nicola Vandi, regala stampe delle sue fotografie con dedica: a me tocca questa, con "Mi sembra ancora di vederti scatenato su quel palco. Impagabile". Ho colpito nel segno.
Ci scambiamo indirizzi e baci, baci e abbracci, abbracci e battutacce. In particolare verso Nicolò, che per qualche motivo sembra essere particolarmente fuori dal mondo: l'emozione non ha voce, e lui non riesce manco ad alzarsi dal divano.
La commozione un po' si scioglie quando realizziamo che molti di noi si rivedranno domattina, ma poi risale quando realizziamo che proprio domani... è l'ultimo giorno.

2 commenti:

  1. wow, what a sviolinat!!! Felice che il racconto ti sia piaciuto. Poco concorde su quello che chiami il "meccanismo" della risata. Ho fatto questo spettacolo e la gente ride sempre in momenti diversi. Per esempio al nord si ride moltissimo sul paragone mamma-strega, al sud per nulla, e ti potrei citare decine di cose del genere. Quello che penso e' che il teatro vero si fa ascoltando il pubblico e dandogli la possibilita' di "partecipare", di respirare, ogni pubblico respira in momenti diversi dello spettacolo e piu' uno e' bravo piu' lo fa sembrare naturale. Insomma, in altre parole, ascolto. Questo e' cio' che cerco di fare nei miei lavori...

    ah, ho scoperto che sei il mio nuovo amichetto di fb, anvedi.......

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  2. ah, io pensavo che ci fossi arrivata proprio da fb...
    per la risata, c'eran dei momenti in cui sembrava un po' innescata... comunque si sente una "veracità" e una voglia di tenere il pubblico che facilita molto il non facile compito di tenere un pubblico per mezz'ora, da sola e seduta... per cui, ancora complimenti...

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