Day 1 - 16/08/2008
Ore 11.55 - Terrore al Terminal 2Il Sole spacca pietre, sassi e laminati, laggiù nella vecchia Carthusia. Dodici esseri viventi (sette disperati assetati di bargiggia, quattro graziose prede sessuali caste e un disadattato qualificato come Stoner) si stanno per imbarcare in un'avventura ben poco avventurosa, ma dai molteplici risvolti polemici. Tra poco si parte, e si va a Calella-olè. Sì, proprio lì, sulla Costa Brava. Bravi.
Salutati parenti prossimi e genitori sconosciuti, tre auto e il magnifico Galloper, il vanto dell'Italia tutta, prendono la strada che, fatalmente, porterà i Dodici là. Sì, proprio là. A Malpensa, luogo di perdizione di orientamento e chellophane verde. Aaah, il cellophane verde.
Dopo un amabile viaggio in automobile impreziosito dalla rassicurante presenza di Alice, che inizia a stilare una lista del contenuto del bagaglio a mano ("E l'ombrello, me lo fan passare?"; "E gli orecchini, me li fan passare?"; "E il mignolo sinistro, lo posso portare?"; durata del viaggio, 65 minuti; domande, 715 milioni), eccoci nel Terminal 2 di questo aeroporto che mi ero figurato magnifico, ma che invece fa di molto cagare. Va beh, che è il Terminal 2, però...
Appropinquatisi all'area check-in, iniziano le prime avvisaglie del disturbo psichico di Stoner, il quasi-albino dagli occhi di ghiaccio, che, allampanato come pochi e con occhi sbarrati da seguace dell'Opus Dei, si lancia in un lungo monologo (il caro Stonnie si esprime solo attraverso lunghi monologhi che costringono l'ascoltatore ad assecondare ogni sua delirante lettera proferita) sul dispenser di preservativi nel bagno attiguo. Al banco del check-in, neanche Mr. Ricotto, PR dei Dodici, si nega a un dialogo sul filo dell'erotico con la colorata hostess, che carica con sorriso compiacente i bagagli sul nastro trasportatore.
Salutati parenti prossimi e genitori sconosciuti, tre auto e il magnifico Galloper, il vanto dell'Italia tutta, prendono la strada che, fatalmente, porterà i Dodici là. Sì, proprio là. A Malpensa, luogo di perdizione di orientamento e chellophane verde. Aaah, il cellophane verde.
Dopo un amabile viaggio in automobile impreziosito dalla rassicurante presenza di Alice, che inizia a stilare una lista del contenuto del bagaglio a mano ("E l'ombrello, me lo fan passare?"; "E gli orecchini, me li fan passare?"; "E il mignolo sinistro, lo posso portare?"; durata del viaggio, 65 minuti; domande, 715 milioni), eccoci nel Terminal 2 di questo aeroporto che mi ero figurato magnifico, ma che invece fa di molto cagare. Va beh, che è il Terminal 2, però...
Appropinquatisi all'area check-in, iniziano le prime avvisaglie del disturbo psichico di Stoner, il quasi-albino dagli occhi di ghiaccio, che, allampanato come pochi e con occhi sbarrati da seguace dell'Opus Dei, si lancia in un lungo monologo (il caro Stonnie si esprime solo attraverso lunghi monologhi che costringono l'ascoltatore ad assecondare ogni sua delirante lettera proferita) sul dispenser di preservativi nel bagno attiguo. Al banco del check-in, neanche Mr. Ricotto, PR dei Dodici, si nega a un dialogo sul filo dell'erotico con la colorata hostess, che carica con sorriso compiacente i bagagli sul nastro trasportatore.
Ore 17.30 - Hasta que vien la meravilla...
Durante i controlli di rito, un incazzoso e fin troppo zelante addetto alla security vuole mangiare la testa a Germix, un omone alto sei metri e quattro che vive in una perenne nebbia sensoriale, e che nel caso specifico ha fatto di tutto per passare attraverso il metal detector con ancora addosso la cintura.
Il seguente imbarco è la sovreccitata attesa di mezzo milione di derelitti umani, fra cui spicca la presenza di una deliziosa ma ahimè sconosciuta donzella di nome Silvia (come verremo a sapere poi) da cui proprio non riesco a staccare gli occhi. Qui Stoner si rivolge al cugino Max (sì, quello che scorreggiava ovunque nel mondo) con l'imprudenza del novizio, dicendogli:
"Max, guarda che quella ci prova con te!"
"Ma chi?"
"La... Stefania?" (riferito a SteTulu/Puzzi/Giannoulidis/Stulidis)
"Sì... sì, certo."
Evidentemente, il biondino non sa nulla delle circa venticinque morti possibili in cui potrebbe incappare. Ma, sinceramente, chi ha voglia di informarlo?
L'aereo si stacca da terra pochi minuti dopo, e si dirige a tutta potenza verso Barcellona. Il viaggio è molto rilassante: Mr.Ricotto dorme, Marco BellezzaSfolgorante ronfa, io leggo, il pilota vola da Dio.
Ripiombati sulla dura terra dell'aeroporto catalano sulle note di Hound Dog di Elvis, ricomincia il parlottìo che mi condurrà ai limiti della crisi di nervi alle 18.00 circa (complice la seconda tirata di Stoner, sì). Pisciatina, recupero bagagli. E via verso Calella.
Il seguente imbarco è la sovreccitata attesa di mezzo milione di derelitti umani, fra cui spicca la presenza di una deliziosa ma ahimè sconosciuta donzella di nome Silvia (come verremo a sapere poi) da cui proprio non riesco a staccare gli occhi. Qui Stoner si rivolge al cugino Max (sì, quello che scorreggiava ovunque nel mondo) con l'imprudenza del novizio, dicendogli:
"Max, guarda che quella ci prova con te!"
"Ma chi?"
"La... Stefania?" (riferito a SteTulu/Puzzi/Giannoulidis/Stulidis)
"Sì... sì, certo."
Evidentemente, il biondino non sa nulla delle circa venticinque morti possibili in cui potrebbe incappare. Ma, sinceramente, chi ha voglia di informarlo?
L'aereo si stacca da terra pochi minuti dopo, e si dirige a tutta potenza verso Barcellona. Il viaggio è molto rilassante: Mr.Ricotto dorme, Marco BellezzaSfolgorante ronfa, io leggo, il pilota vola da Dio.
Ripiombati sulla dura terra dell'aeroporto catalano sulle note di Hound Dog di Elvis, ricomincia il parlottìo che mi condurrà ai limiti della crisi di nervi alle 18.00 circa (complice la seconda tirata di Stoner, sì). Pisciatina, recupero bagagli. E via verso Calella.
Ore 21.30 - Domo Arigato, Mr. Ricotto
Il viaggio verso Calella è una delle più grandi odissee della storia dell'uomo.
Scartato il taxi, troppo economico per le nostre tasche di noi ricchi tycoon della lombarda (e a riguardo l'amico Bone saprà deliziarvi con un resoconto delle leggende metropolitane che circondano la Spagna), optiamo per il treno. La piccola stazione che collega l'Aeroporto a Barcellona è il teatro di un mio delirio personale: vessato dalla crescente coda di turisti (ringrazio il tipo che per farmi sbrigare continuava a cambiarmi le monete che la macchinetta non voleva buttar giù) alle mie spalle, stampo per errore 8 biglietti per un'altra destinazione (non Calella, ma Matarò, qualche chilometro prima). Certo, la gran parte dei miei compagni poi si dimostra collaborativa nell'aiutarmi con la sostituzione dei biglietti (anche se, poi, a conti fatti, rifare i biglietti si è rivelato inutile, come mi accingo a scrivere), ma, fatalmente, Germix e Stoner, persi nella trance delle consolle portatili, se ne sbattono simpaticamente il cazzo mentre li invito a seguirmi per prendere i biglietti nuovi. Va beeeene.
Sul treno, provo a contattare l'Hotel per comunicare loro il ritardo: i tre anni senza manco sfiorare lo spagnolo si fanno sentire, e balbetto mentre cerco di elencare i nominativi delle prenotazioni. Il nome Ricotti diventa prima Rebecchi e poi Ricotto, prima che riesca a capire che il gentile responsabile dell'albergo ha fatto sì che possiamo trovare un pasto al nostro arrivo. Lo congedo con un "Hasta... Hasta... Hasta...", completato a dovere dall'amico Bone con un "Hastocazzo!".
Arrivati a Barcellona-Saints, snodo ferrioviario della città "che costa 2 euro al minuto", prendiamo, non senza difficoltà, un treno che ci porta fino a Matarò, praticamente sicuri che si recasse anche a Calella. Quanto ci sbagliavamo. Quando si dice il fato. Mi spiace per quei moveri cristi a cui ho fatto ricomprare il biglietto, ma sappiate che il karma mi sta punendo alla grande.
Sul treno, Mone guarda i primi lembi di mare e loda in modo sperticato le Mennone, sinonimo di Seni Femminili Giganti.
I nostri giungono finalmente a Calella alle 21.30. Sceso dal treno, faccio un po' di strada a pochi metri dalla famosa Silvia, prima che le nostre strade, irrimediabilmente, si dividano.
Ore 23.30 - Il mare d'inverno d'estate
Scartato il taxi, troppo economico per le nostre tasche di noi ricchi tycoon della lombarda (e a riguardo l'amico Bone saprà deliziarvi con un resoconto delle leggende metropolitane che circondano la Spagna), optiamo per il treno. La piccola stazione che collega l'Aeroporto a Barcellona è il teatro di un mio delirio personale: vessato dalla crescente coda di turisti (ringrazio il tipo che per farmi sbrigare continuava a cambiarmi le monete che la macchinetta non voleva buttar giù) alle mie spalle, stampo per errore 8 biglietti per un'altra destinazione (non Calella, ma Matarò, qualche chilometro prima). Certo, la gran parte dei miei compagni poi si dimostra collaborativa nell'aiutarmi con la sostituzione dei biglietti (anche se, poi, a conti fatti, rifare i biglietti si è rivelato inutile, come mi accingo a scrivere), ma, fatalmente, Germix e Stoner, persi nella trance delle consolle portatili, se ne sbattono simpaticamente il cazzo mentre li invito a seguirmi per prendere i biglietti nuovi. Va beeeene.
Sul treno, provo a contattare l'Hotel per comunicare loro il ritardo: i tre anni senza manco sfiorare lo spagnolo si fanno sentire, e balbetto mentre cerco di elencare i nominativi delle prenotazioni. Il nome Ricotti diventa prima Rebecchi e poi Ricotto, prima che riesca a capire che il gentile responsabile dell'albergo ha fatto sì che possiamo trovare un pasto al nostro arrivo. Lo congedo con un "Hasta... Hasta... Hasta...", completato a dovere dall'amico Bone con un "Hastocazzo!".
Arrivati a Barcellona-Saints, snodo ferrioviario della città "che costa 2 euro al minuto", prendiamo, non senza difficoltà, un treno che ci porta fino a Matarò, praticamente sicuri che si recasse anche a Calella. Quanto ci sbagliavamo. Quando si dice il fato. Mi spiace per quei moveri cristi a cui ho fatto ricomprare il biglietto, ma sappiate che il karma mi sta punendo alla grande.
Sul treno, Mone guarda i primi lembi di mare e loda in modo sperticato le Mennone, sinonimo di Seni Femminili Giganti.
I nostri giungono finalmente a Calella alle 21.30. Sceso dal treno, faccio un po' di strada a pochi metri dalla famosa Silvia, prima che le nostre strade, irrimediabilmente, si dividano.
Ore 23.30 - Il mare d'inverno d'estate
Eccoci all'Hotel di Shining.
Fuori, uno squallido palazzetto di periferia; dentro, l'esatta replica dell'Hotel di Shining, ma realizzato con materiali di scarto. Ne sono testimoni i soffitti gonfi d'umidità e le consunte poltroncine del bar. Arte povera.
Mentre consumiamo qualche cotoletta a base di animali transgenici e con un frugale contorno di verdure e salami iper-speziati, notiamo un figuro a cui finiremo per affezionarci, Robert McManganello, conosciuto come Manganiello, il responsabile della security dell'albergo, i cui modi garbati ci conquistano subito. E non è sarcasmo. Peccato che Manganiello poco sappia delle natiche parlanti che ho mostrato alla dirimpettaia della nostra stanza appena messo piede in stanza, giusto perchè tanto così.
Finita la cena, ci addentriamo nelle vicinanze di Calella, praticamente la copia carbone di qualsiasi paesino marittimo del mondo, solo con tutto che chiude prestissimo. Gustato il gelato in un locale che esibisce in modo pornografico una infinità di apparentemente disgustosamente sapide torte alla fragola, e salutata la povera Stefina, in preda a un fastidioso mal di pancia, diamo una rapida occhiata al suggestivo mare notturno, mentre un freddino ino ino si infiltra nei nostri indumenti e nei nostri cuori.
Le nuovissime infradito ContoArancio mi procurano una fastidiosa feritina al piede destro, che mi sfianca al punto da costringere me medesimo a addormirsi con tanto di berretto in testa. Il dolore è una gran puttana, lo so.
Mentre il dolce Bone, mio compagno umoristico di stanza umoristica, mi rimbocca le coperte, già si avvertono distintamente i primi tremori di peti sismici.
Fuori, uno squallido palazzetto di periferia; dentro, l'esatta replica dell'Hotel di Shining, ma realizzato con materiali di scarto. Ne sono testimoni i soffitti gonfi d'umidità e le consunte poltroncine del bar. Arte povera.
Mentre consumiamo qualche cotoletta a base di animali transgenici e con un frugale contorno di verdure e salami iper-speziati, notiamo un figuro a cui finiremo per affezionarci, Robert McManganello, conosciuto come Manganiello, il responsabile della security dell'albergo, i cui modi garbati ci conquistano subito. E non è sarcasmo. Peccato che Manganiello poco sappia delle natiche parlanti che ho mostrato alla dirimpettaia della nostra stanza appena messo piede in stanza, giusto perchè tanto così.
Finita la cena, ci addentriamo nelle vicinanze di Calella, praticamente la copia carbone di qualsiasi paesino marittimo del mondo, solo con tutto che chiude prestissimo. Gustato il gelato in un locale che esibisce in modo pornografico una infinità di apparentemente disgustosamente sapide torte alla fragola, e salutata la povera Stefina, in preda a un fastidioso mal di pancia, diamo una rapida occhiata al suggestivo mare notturno, mentre un freddino ino ino si infiltra nei nostri indumenti e nei nostri cuori.
Le nuovissime infradito ContoArancio mi procurano una fastidiosa feritina al piede destro, che mi sfianca al punto da costringere me medesimo a addormirsi con tanto di berretto in testa. Il dolore è una gran puttana, lo so.
Mentre il dolce Bone, mio compagno umoristico di stanza umoristica, mi rimbocca le coperte, già si avvertono distintamente i primi tremori di peti sismici.
(continua...)
Il buon caro vecchio Paolo riesce sempre a cogliere sfumature perse per strada. Per esempio Mone e il suo elogio alle “mennone” proprio non me lo ricordavo! Cioè, avrà parlato di mennone più o meno 100 volte al giorno, ma non me lo ricordavo!!!
RispondiEliminaComunque anche in Italia l’acqua di paga a parte ciccio!!!
è una puttanata lo stesso.
RispondiEliminaLa ringrazio per Blog intiresny
RispondiEliminanecessita di verificare:)
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