venerdì 15 dicembre 2006
venerdì 8 dicembre 2006
lunedì 20 novembre 2006
Citatiòn
da chi non fa sesso e non ha figli."
domenica 19 novembre 2006
Bulimia Esistenziale
Se però oggi i frequenti (e non nuovi) derangiamenti dei ragazzini sembrano destare un'angoscia speciale, e il cosiddetto bullismo figura sui giornali come un fenomeno quasi epidemico, forse è perchè qualcosa è cambiato, radicalmente cambiato, non tanto nelle piccole e mutevoli società dei minori, assembramenti occasionali e veloci, quanto nella grande e strutturata società degli adulti.
Che cosa è cambiato? Per dirla bruscamente, è saltato il meccanismo che regola il rapporto tra i diritti e i doveri. O meglio ancora, tra i desideri e il loro limite [...]. La moltiplicazione dei desideri, del nostro mondo, è contagiosa, esponenziale e strutturalmente vitale per la moltiplicazione dei consumi.
Ognuno di noi, sperimenta su se stesso e ancora più sui figli, se ne ha, l'enorme difficoltà di introdurre, in questo meccanismo rotto, un calmiere, un contrappeso etico. Se l'aggressività dei minori ci spaventa più di quanto è fisiologico, questo dipende, io credo, dal fatto che la paura si manifesta per causa loro, ma non è paura di loro: è la paura - profondissima - di avere perduto in parte gli strumenti per affrontarla. È la paura di avere reso inarticolato il linguaggio dei meriti e dei demeriti, dei doveri e dei limiti, in un paesaggio sociale che letteralmente esplode di stimoli a desiderare e a possedere. In fretta. Adesso. Subito.
Per questo oscilliamo, incerti e preoccupati, tra rigurgiti punitivi che sentiamo necessari, e il dubbio che la puniione, anche se giusta, sia la goffa e occasionale ricucitura di uno sbrego così enorme, così irreparabile, che nel frattempo la diga è già crollata. Mentre la città scintilla di vetrine esorbitanti, eros a portata di mano, identità e modelli aggressivi e "di successo", e il mondo intero pare un infinito reticolo di scorciatoie identitarie, fisionomie virtuali, di trucchi per sembrare qualcuno a buon mercato, noi balbettiamo spesso, e con scarsa convinzione, le regole della rettitudine. Con il terrore (tipicamente d'epoca) di sembrare moralisti, per l'evidente, clamoroso scarto tra l'invito a contenersi e un mondo esterno (spesso anche familiare) che si è dato parametri di incontenibilità e incontestabilità: avere di più, sembrare di più, desiderare di più.
È quasi ovvio che questa vera e propria bulimia esistenziale, che già molti adulti riescono a governare con difficoltà, produca effetti incontrollabili nei ragazzini, la cui natura anagrafica è già di per sè portata ad avere fretta di crescere e fretta di essere. E in questo, almeno in questo, le nostre adolescenze furono diverse: l'idea che ci fosse, per crescere, un tempo fisiologico, maledettamente lungo ma insormontabile, da percorrere tutto intero, era per noi molto chiara. La politica, per la mia generazione, fu sì un potente acceleratore formativo (come la guerra per i nostri padri, assai meno fortunati), ma era comunque intesa come un percorso, come un divenire. Ora per i ragazzi l'ansia di crescere, di diventare grandi e forti, potenti e ammirevoli, è diventata un'illusione quotidiana, la tentazione di ogni minuto, a portata di pubblicità, di pantaloni firmati, di chat, di rete che diventa (vedi il caso di Tonino [il ragazzo down malmenato in un video diffuso su internet, NdP)) un facile battesimo per ogni genere di "successo".
Questa distruzione del tempo, il lungo tempo che lentamente plasma e le persone e riempie le loro vite, è la voragine dentro la quale abbiamo vedere scomparire i più fragili tra i nostri figli. Non riusciamo più a spiegare loro la gradualità del "successo" (che piace a tutti, a noi per primi: ma per definirlo, per capirlo, serve anche capire la fatica che costa), la gioia oscura dell'attesa, la differenza tra il facile che è l'ovvio, e il difficile che è il suo contrario. Vacilliamo nel ruolo di autorevoli indecisi, di amichevoli inermi, che ci siamo dati anche nel timore di ripetere modelli barbogi e ottusi di tante vecchie famiglie, che credevano di esaurire nel divieto e nella durezza il compito faticosissimo dell'amore. Pure, qualcosa di differente dovremmo provare a dire, a fare.
Tirarli per le bretelle, magari, i nostri pidocchi, e dirgli "aspetta, prova ad aspettare". Impara ad aspettare. Fai fatica ad aspettare. Tutto o quasi arriva prima o poi, se hai la forza di aspettarlo. Non c'è crimine, adulto o ragazzino, dei nostri giorni, che non abbia per fondamentale movente la tentazione orribile, falsa, del "tutto e subito". Era lo slogan dei rivoluzionari che fummo. È diventata la legge del Paese dei Balocchi. L'unico modo per tornare a essere rivoluzionari è violarla: non tutto, non subito."
Michele Serra, La Repubblica del 19/11/2006
venerdì 10 novembre 2006
Rise of the Empire
È iniziata, amici. È iniziata e non si può arrestare.
I D'Alessandro erediteranno la Terra.
Nel lontano 1899, i Grandi Capi della Famiglia D'Alessandro firmarono il Protocollo di D'Alessandro, che per decenni è stato confuso con i Protocolli dei Savi di Sion. I Savi di Sion erano i D'Alessandro. Poverini, i Savi non c'entravano nulla, erano i D'Alessandro a pianificare minuziosamente le mosse che, entro la fine di questo decennio, li porteranno ad assumere il potere in ogni Nazione del Potere (vi ricordo, in Cina si sta muovendo il lontano cugino Kwon Dal Sandr), unificando gli Stati nella Uber-Nazione di D'Alessland e portando pace e prosperità al pianeta tutto.
Ecco, il primo passo della Seconda Fase è fatto. Nancy D'Alessandro Pelosi è appena diventata la Speaker del Congresso degli Stati Uniti d'America, la prima donna nella storia.
Posso rivelarvi, che tra cinque mesi esatti, El General Ernesto D'Alessandro metterà sotto assiedio Buenos Aires, prendendo così controllo dell'Argentina. E che in Nuova Zelanda si è appena candidato alla presidenza Leonard J. O'Alexander. In Italia, Domenicaniello D'Alessandro, deputato dell'UDEUR, è già stato matematicamente designato successore di Prodi.
Abbandonate i vostri sogni di potere.
Il mondo è nostro.
lunedì 6 novembre 2006
Ora voglio i soldi indietro, tutti
"Caro Terry Brooks di sta cippa di cazzo,
ammetto in primo luogo di essere un coglione, un grosso grasso coglione. Come ho potuto farmi prendere in giro per anni, sperando che la fottutissima saga che hai creato, povero pirla, migliorasse in qualche maniera? E ringrazia Dio che ho cominciato a leggerti dal Secondo Libro, da quel bel libro che è "Le Pietre Magiche di Shannara". Se avessi cominciato dal primo, raggelante "La Spada di Shannara" (che poi, per mia sfortuna, ho letto), avrei capito l'andazzo dal subito e avrei lasciato perdere. Ma no. Non mi basta che la suddetta Spada sia una fottutamente spudorata copia del Signore degli Anelli. E ripeto, FOTTUTAMENTE-SPUDORATA-COPIA. Io sono un coglione masochista, e ho scelto di andare avanti. Applausi per Paolo.
Ieri ho finito di leggere l'ultimo, deprimente libro della saga di Shannara, in ordine cronologico (c'è una Saga-Prequel, anzi, due Saghe Prequel, visto che il nostro si è ben curato dall'avvertirci che la saga del Verbo e del Vuoto è in continuity prima di creare questa puttanata dei "Figli dell'Armageddon", cominciata quest'anno), "La Regina degli Straken".
E mi sono addormentato con i sensi di colpa. Non può essere colpa sua, dai, sono io che sono troppo esigente. Dai, è impossibile che un libro sia tanto brutto. Anzi, è impossibile che sei libri siano tanto brutti. E pensare che mi ero persino rassegnato all'idea: sto pirla scrive malissimo, piatto e scontato come pochi al mondo. Persino la più fottutamente piatta pagina di Moccia ha più stile di una fottutamente piatta pagina di Brooks. Ma io ho una gran fede nelle storie. Io ho una gran fede nella narrazione. Ho pensato: magari è capace di piantarmi una gran bella storia. E diciamo che qualche volta ci è pure riuscito: dopo la triste partenza della Spada, i due libri seguenti della 'trilogia', 'Le Pietre Magiche [...]' e 'La Canzone [...], e in particolar modo il primo, erano molto godibili. Begli spunti, personaggi abbozzati come sempre, ma quanto meno si passava qualche giorno in allegra compagnia.
Poi venne la cosìddetta saga dell'Eredità di Shannara, quattro volumi di cui due perfettamente inutili. Il Brooks ha capito che il contratto con la Del Rey, che evidentemente prevede l'uscita di un libro l'anno, valeva anche in caso di libri-fuffa. Tanto ormai il pubblico boccalone (e qui mi ci metto anch'io), c'è e compra volentieri. Chissenefrega, il libro fa cagare, diamo la merda in pasto ai cani, ed ecco pronti DUE libri di allungamento di brodo, perfettamente 'fondibili' in un solo, agile e magari anche interessante volume (Brooks è stato uno di quelli che è riuscito a infrangere una delle leggi fisiche delle saghe di fantasia - nell'episodio centrale, la trama s'infittisce ed è più interessante: l'episodio centrale, nelle trilogie di Brooks, è sempre quello che fa più cagare). Però almeno qualche idea c'era, caro Terry. Qualche idea c'era, e a tratti sviluppata anche bene.
Passano gli anni, Terry si mette in marcia su altre saghe, come Landover, che non mi sono neanche azzardato a sfiorare. Piccola incursione su Shannara, 'Il Primo Re', prequel alla Spada. E Dio Santo, che merda. Penso che lì Terry sia riuscito a toccare il fondo e poi grattarlo vigorosamente per un po' senza neanche accorgersene. Magari pensava di fare ritocchi alla Cappella Sistina. Invece, però, ci ha dato le prime avvisaglie di senilità: NEANCHE UNA FOTTUTA IDEA, e le idee vecchie che c'erano messe giù male. Il Primo Re di Shannara ha il tasso di utilità di un pezzo di carta igienica infilato nella crepa di una diga, visto che è TUTTO FOTTUTAMENTE PRESENTE NELLA 'SPADA'. In sostanza, il Primo Re di Shannara è un grosso chissenefrega, ma di pessima fattura.
Il Terry si è preso qualche anno. Ha detto: 'Oops, evvedicheforsehofattolacacata'. Quattro anni dopo il Primo Re, ecco la nuova Saga 'Il Viaggio della Jerle Shannara', seguita dal 'Druido Supremo di Shannara'. Un'esalogia, insomma.
Vi stupisco, amici: NAVI VOLANTI. Ooooh. Sti poveri cristi non avevano neanche l'acqua corrente in casa. Ma ora hanno le NAVI VOLANTI. Quantomeno, cambia leggermente l'ambientazione. Non cambiano le caratterizzazioni, tanto che viene il sospetto che il nostro abbia 3 personaggi e li faccia girare in continuazione cambiando solo i nomi. Ma girare in continuazione non significa da una saga all'altra, significa da un capitolo all'altro. Risultato, tre libri mediocri per rilanciare il franchise.
Ok, si dice il nostro, altri 3, così chiudo il cerchio su questo fantastico personaggio di nome Grianne Ohmsford, che ha l'attrattiva di quel famoso pezzo di carta igienica infilato nella crepa della diga. La cosa spettacolare, è che Terry è riuscito a fare una trilogia con il chiaro intento di vivere di rendita, facendo un best of dei libri precedenti. È tanto palese da essere quasi strano che al posto di "Druido Supremo di Shannara" non ci sia scritto "Antologia di Shannara". Tra l'altro, in 3 libri, è riuscito a chiudere il cerchio sul personaggio in 4 pagine alla fine dell'ultimo libro. E in una maniera terribile.
Ok, ma la cosa ancora più geniale (e Terry ti ringrazio), è che ha fatto un best of con le parti peggiori. Un worst of, in definitiva. Cioè, il nostro, oltre alla consueta serie di menate sulla crescita del personaggio, sulla maturazione improvvisa, ma ormai sempre più prevedibile, dei suoi poteri, agli intrighi politici di seconda scelta (Terry, guardati, che ne so, Battlestar Galactica, impara qualcosa), ci ha preso gusto a unire una sorta di genere d'avventura anni 50, a tematiche fantasy, anzi a tematiche che poco sono riuscite a emanciparsi dal modello tolkeniano, a un rinnovato gusto per la tarantinata, direi, per l'atto di violenza efferato e gratuito. Ma Brooks non si rende conto che a) lo fa male b) il primo termine non può essere sommato al terzo. O fai una storia dal gusto retrò, o ci infili la violenza gratuita anni 90. Terry, non confondiamoci: non segui le convenzioni di genere, tu ti fai sottomettere dai clichè, e riesci a farlo pure quando vuoi dimostrati capace di rinnovarti.
Non considerando che condensa tutta la storia negli ultimi 5 capitoli, lasciandoci al deserto della sua scrittura tediosa e piatta per quattro quinti di romanzo, risolve tutti gli snodi irrisolti in una sola affrettata botta, e ci aggiunge questo vizio che ormai sa di svogliatezza più che di coincidenza di risolvere tutte le sottotrame portanti con un'unica, poderosa stronzata. E non puoi neanche pretendere, caro mio, che i tuoi dialoghi siano avvicincenti o particolarmente innovativi e spiritosi. È pattume, caro mio. Io capisco che i dialoghi siano dannatamente difficili da scrivere, ma cazzo, farebbe di meglio uno sceneggiatore di RIS, rendiamocene conto. Amico, questi dialoghi ammiccanti fino al colesterolo, intensi come una scoreggia e della consistenza della carta igienica infilata nella crepa della diga hanno rotto i coglioni.
Terry, davvero, sii umile, ritirati. Ci hai praticamente preso in giro per 6 libri. Hai dei guizzi, dei lampi casuali, ma non tanto forti e duraturi da farci questi libri, figuriamoci degli altri.
Ora non so se leggerò mai la nuova saga Prequel. Di indole, sono buono e vorrei sempre darti una possibilità di redenzione. Però non te la meriti.
Anzi, ora voglio i soldi indietro, e tutti, per favore.
Freak out,
Paolo.
mercoledì 1 novembre 2006
Life During Wartime
http://www.unamanolavalaltra.it/home/Cuore.htm
domenica 29 ottobre 2006
46
Perchè bisogna riconoscerlo: c'è un unico vero mito su questa Terra, un unico vero essere che può fregiarsi della carica di Dio-in-Terra. E il suo nome è Jack Bauer.
mercoledì 25 ottobre 2006
I Turbamenti
Il turbamento sussurra dolcemente all'orecchio del passato stantio, che spinge ancora alle porte, forza di nuovo la serratura.
Dall'altra parte del muro, si agitano i corpi: attraverso la parete di ghiaccio, sagome di soffici lembi di carne che si concedono ai meno meritevoli. E noi qui a sanguinare vita.
Se quell'altro tempo busserà ancora, forse avrà un valore dimenticare, benchè impossibile, o prevedere, benchè altrettanto irrealizzabile. Ma forse ci saranno ancora giorni, anni e vita buttati inseguendo un morto.
Piccolo appunto scritto tempo fa, lo dedico all'amico Fabio, che vive un momento amoroso un po' troppo arido.
giovedì 21 settembre 2006
New Arrival
La cosa curiosa è che questo blog di un anno ha appena partorito non un figlio, ma un cugino. Le modalità di questo strano evento sono oscure pure a me. Eppure eccolo lì. Eccolo, il Comunazista, titolo preso in prestito da un'assurdo movimento ideologico creato da Tiziano Sclavi per Dylan Dog 240, ancora in edicola, tra l'altro. Eccolo, il deserto allo stato brado dove cercheremo di dire la più grande quantità di cagate possibile prima di stufarci di dirle.
Eccolo.
È qui.
lunedì 11 settembre 2006
Catching Up
Domino - Buon film dello Scott minore, un po' forzato a tratti e con tendenze sadiche (per lo spettatore), ma comunque film di rara imprevedibilità e pulp spinto. Doppiaggio forse un po' dozzinale, ma tant'è. Keira Knightley fantastica, come sempre.
Munich - Ritmo dilatato e decompresso per un film drammatico e toccante, che come pochi sa toccare il fondo della tragedia umana. Spielberg d'annata. Bana strepitoso. Williams toccante come al solito.
Saluti a tutti e alla prossima... w l'anonimia!
domenica 27 agosto 2006
Cars: Motori Struggenti...
No, per carità, non mi ha fatto schifo, ma dovevo attirare la vostra attenzione...
Come ormai avrete capito, stavolta si parla di Cars, ultimo partorito di casa Pixar, diretto dal grande John Lasseter, fondatore dello Studio (ricordiamo che la Pixar fino a maggio 2006 è stato uno Studio autonomo i cui prodotti venivano distribuiti e pubblicizzati dalla Disney: solo da pochi mesi, la Pixar ne è diventata una sussidiaria), nonchè grande storyteller, come le sue precedenti prove (Toy Story 1&2 e A Bug's Life) hanno dimostrato.
Cars muove dal solco tracciato da un film del 1991, Doc Hollywood, storia di ritorno all'umiltà di un giovane e ricco chirurgo californiano capitato per caso in una cittadina nel mezzo del nulla, e, ivi costretto a rimanere per ripagare la comunità della devastazione arrecata durante il burrascoso arrivo, riscopre i valori, l'umiltà e, soprattutto, l'amore. Da questo grande precedente, che ha prodotto e produrrà cloni a non finire, Lasseter costruisce un film che trasforma un plot tanto abusato in una godibilissima e divertentissima favola in salsa automobilistica.
Come da tradizione Pixar, la confezione è delle più appetibili: il grandioso lavoro dei grafici dello Studio ha portato alla vita un mondo in bilico tra realismo e caricatura, dimostrando ancora una volta la profonda attenzione all'aspetto puramente visivo del tutto (e qui molti degli odierni cartoon in CGI dovrebbero solo imparare). Questo realismo cartoonesco vi porterà a guardare le distese sconfinate della contea di Carburator con profonda suggestione, e mai la leggendaria Route 66 vi sarà sembrata tanto reale e palpitante. Questa medesima attenzione all'aspetto tecnico si rispecchia nel ritmo che, malgrado i sussulti iniziali, scorre liscio fino alla fine, nella sapiente regia, e nel suono, perfettamente progettato; un po' meno "sul pezzo" la colonna sonora, in fin dei conti abbastanza anonima.
Capitolo a parte, i personaggi, tutti ben costruiti a partire dai loro archetipi, forse questa volta troppo marcatamente ereditati dal modello disneyiano: quello che sconta di più questo difetto è il "nostrano" Luigi, tipico esempio di tocco-etnico-via-stereotipo+tormentone annesso (diciamo che l'adattamento italiano ha colto due piccioni con una fava sfruttando il personaggio-tormentone del comico Marco Della Noce), ma l'effetto è senz'altro molto divertente. Ma è qui che probabilmente si apre lo spiraglio verso quella che probabilmente è la colpa più grave di Lasseter: l'eccessiva disney-zzazione del prodotto, l'essersi lasciato andare troppo agli stereotipi, tralasciando la trimensionalità" dei personaggi dei precedenti film made-in-Pixar, caratteristica che era valsa allo Studio plausi di pubblico e critica. Se l'esperimento di Lasseter era, come spero, quello di una 'riforma', di un prendere gli stereotipi (e qui possiamo considerare il plot stesso uno stereotipo), scuoterli e innovarli, allora l'esperimento si può dire solo parzialmente riuscito.
Insomma, Cars, come dicevamo, è un film godibilissimo, ben realizzato e divertente. Un leggero passo indietro per la Pixar, a dirla tutta, ma speriamo che sia solo la rincorsa per un salto ancora più ampio nel futuro: all'orizzonte ci sono Ratatouille e Toy Story 3.
giovedì 24 agosto 2006
"... io sono ancora Superman!"
La sensazione più strana che si ha all’uscita di Superman Returns è la completa soddisfazione, probabilmente molto più vicina a una serena sazietà piuttosto che a uno stantio appagamento dei sensi. Superman Returns soddisfa praticamente ogni angolo del palato, con un’unica, lunga e portentosa forchettata di azione, sentimento, divertimento (in ogni senso), pathos ed epos. Allora mi direte, dov’è la stranezza in una simile sensazione? La stranezza starebbe se non fosse strano sentirsi così, una volta ogni tanto.
Innanzi tutto, Superman Returns è un grande film. Dal punto di vista prettamente tecnico, è praticamente ineccepibile. Sceneggiatura solida, bei dialoghi, caratterizzazioni azzeccate, fotografia (grazie alle magie del digitale) straordinariamente elegante, montaggio e ritmo a prova d’orologio, regia sontuosa e insieme intima, musica toccante e magnifica, recitazione di livello.
E poi, il talentuosissimo trio Singer-Harris-Dougherty ha davvero messo sul tavolo ciò che ogni fan di buon cinema, ogni appassionato di buone storie e, in particolar modo, ogni fan dell’Azzurrone desiderebbe gustare: un Superman davvero Superman, non l’ombra del personaggio tratteggiata qua e là a tentoni negli ultimi anni (con le dovute eccezioni, certo), ma un’icona, un simbolo di speranza, un meraviglioso e statuario dio-uomo (qualche accostamento a Cristo non ce lo facciamo mancare, visto che il film stesso in qualche tratto ce lo consente), capace di amore, profondo e quasi disperato, di rabbia, e anche di autoironia. Pochi giorni fa, sul suo blog, l’amico Fabio Graziano lamentava il tradimento, avvenuto degli ultimi tempi, della Gestalt supereroistica classica da parte di molti autori nei confronti dei personaggi DC: ebbene, il Superman qui egregiamente dipinto è proprio ciò che si sarebbe sempre dovuto fare del personaggio nei fumetti, nei telefilm, ovunque. Un personaggio allo stesso tempo eterno e nostro, mitico eppure reale, che nel suo profondo credo nel bene, nel mantra del riconoscere la predisposizione al bene di ogni singolo essere, del suo costituire la luce che illumini la via dell’umanità, trova la fonte del suo sempre magnifico potere, del suo essere Superman. E Brandon Routh ha saputo rendere alla perfezione un personaggio all’apparenza tanto semplice da impersonare, anche seguendo le tracce del suo compianto predecessore, Christopher Reeve.
La sorpresa davvero notevole di questo film è il suo occhio umano, Lois Lane, impersonata dall’incantevole Kate Bosworth. Dietro a un’apparente sicurezza d’acciaio, che esplode nella sua caparbietà di giornalista d’assalto, Lois nasconde un cuore di panna, di madre attenta e affettuosa, e di donna divisa tra due grandi amori, o meglio profondamente turbata dal ribussare alla porta di un amore, quello per Supes, ormai lasciato alle spalle (ottimo input per farci vedere il lato dell’Azzurrone più struggentemente umano), e dal conseguente “incendio estinto” di una passione in rinascita: e qui anche l’Uomo d’Acciaio deve fare i conti con un mondo che cambia, un mondo che forse può fare a meno di lui. Ma, come diceva Kennedy, più le cose cambiano, più rimangono le stesse.
Grande film, insomma, dalla grandeur epica e dalla forte eredità Silver Age, profondo ed emozionante come pochi, e che lascerà indubbiamente il suo segno nel cinema fantastico degli anni a venire.
domenica 20 agosto 2006
Personalmente, odio le canzoni d'amore.
martedì 1 agosto 2006
sabato 29 luglio 2006
Il problema
Prima cosa: questo blog è completamente inutile. Ormai è diventato uno sfogo abbastanza insipido a uscita dalla sala. Avrei voluto farlo diventare qualcosa di più, ma il dover cagare il cazzo al mondo, anzi, a quattro, anzi, a mezzo gatto circa le mie opinioni, quando sono solito subissare i circostanti di arringhe ipercritiche e di epiteti iperbolici, mi sembra inutile, eccentrico e un po' cazzone. Giuro, un giorno diventerà qualcosa. Un giorno riuscirò a concentrarmi su una cosa per volta, e ad avere voglia di farla per bene. Ma ora la mia mente è una puttana.
Seconda cosa: la voglia di AMMORE. Ma questo è una cosa a parte.
Terza cosa: una voglia infinita di scrivere che però si traduce in una voglia nulla. Non scrivo qualcosa da mesi. E non so se quel qualcosa fosse decente. Quando mi ci metto, riesco a fare poco. Ho un soggetto a fermentare da mesi e ho ancora dei buchi enormi nella trama. Ho una sceneggiatura da finire da mesi e non ho mai voglia. Ho una traccia per un romanzo da completare e sti cazzi se ho voglia di pensarci un attimino. Ho un romanzo che ho iniziato da un mese ma è fermo perchè ho troppo rispetto di quelle dieci righe per potere andare avanti.
Quarta cosa: le 2000 cose da leggere e/o guardare.
Voglio il giorno di 48 ore.
Ragazzi, il problema sono io.
Mi dò troppo ozio da svolgere.
lunedì 22 maggio 2006
Ok, manco solo io
Il vantaggio di essere blogghettari è questo. Eheheh.
Davvero, una cagatona cosmica.
Bella fotografia, però. Solo quello.
Freak Out,
Paolo
lunedì 8 maggio 2006
Mission Impossible 3, ovvero Lode all'Action Movie
Mission Impossible 3 è un film del genere, costruito benissimo, bei dialoghi, buonissima la regia (tranne qualche eccessivo indugio in finte inquadrature manuali che confondono e basta), ottimo ritmo, grandi effetti speciali, ottima colonna sonora (Michael Giacchino al suo meglio): l'unico difetto del film dell'ormai leggendario JJ Abrams sono le performance degli attori, piuttosto mediocri (se si esclude Philip Seymour Hoffman, e il suo cattivo da brivido).
Due ore davvero godibilissime, fatte per sedersi in poltrona, magari con qualche delizia tipica dello spettatore medio (popcorn, e non a caso MI3 è un popcorn movie), disconnettere il cervello e farsi affascinare da questo sano divertimento chiamato dai più action movie americano, in cui tanti vedono il demonio, ma in cui francamente ho sempre visto i semi di un ottimo cinema di puro intrattenimento.
MI3 è certo sbilanciato verso l'entertainment più autentico, ma non dimentica che lo spettatore è da rispettare in quanto portatore di gusti (e di soldi, soprattutto) e meritevole di rispetto, come Abrams ha dimostrato in tutti i suoi prodotti.
Non aspettatevi un capolavoro, ma vedete di non autodistruggervi lo spasso dopo 5 secondi.
Freak Out,
Paolo
>>> Seguono delucidazioni sull'esperienza al TelefilmFestival
lunedì 17 aprile 2006
Getting in Tune: Sin City vs. La Sposa Cadavere
Dopo una visione mattutina di "Charlie and the Chocolate Factory", già recensito su queste pagine, è stata la volta di una visione pomeridiana del "Sin City" di Rodriguez-Miller-Tarantino, e infine del secondo filmone burtiano dell'anno "La Sposa Cadavere" (terza visione, amici cari). Tra un film e l'altro, recupero episodi di Lost perduti lunedì scorso per via dello scrutinio.
Andiamo alle cose serie: "Sin City", trasposizione fedele del capolavoro milleriano, dal 2D deliziosamente trasposto in finto 2D, come a sottolineare la sostanziale bidimensionalità di ogni opera d'arte, la sostanziale divisione netta in bianco e nero di ogni azione umana, di ogni essere umano. Film deliziosamente "noir-cool", in una definizione coniata or ora, la cui unica debolezza è forse una carenza di ritmo in alcuni momenti. Punti fortissimi: la succitata fotografia finto bianco e nero, in realtà giallino desaturatissimo e nero, e gli sprazzi crudeli di colore, presi paro-paro dalla graphic novel originale, così come i dialoghi, crudelmente noir e "fumettari", nel senso ovviamente più buono del termine.
Attendiamo con gioia il sequel, in uscita l'anno prossimo.
"La Sposa Cadavere": meravigliosa favola in salsa apparentemente disneyiana, ma ben pregna di Burton-style. Meravigliosa favola, dicevamo, incentrata su amore e morte (e denaro), trattate con un registro leggero, vagamente sarcastico, e affettuosamente necrofilo. Ottimo film, con meravigliose musiche del grande Elfman, una fantastica cura del character design, e un recupero davvero encomiabile della storia stop-motion, che probabilmente ha ancora qualche grande cartuccia da sparare prima di essere seppellita dall'amata (almeno da me) Computer Graphic.
Sparate queste cartucce, ci si vede alla prossima.
Freak Out,
Paolo
giovedì 30 marzo 2006
Il Caimano
Devo ammettere che io di Moretti ne ho visto pochissimo, anzi quasi niente in vita mia. Eppure sono cresciuto accanto a un fratello che, con i suoi 13 anni in più di me, e con una precoce tendenza alla militanza politica, mi ha praticamente bombardato di Allen (Woody) e Moretti per tutta l'infanzia; ma probabilmente ero troppo impegnato a pensare all'Uomo Ragno o a Guerre Stellari per stargli dietro. Moretti per me è stato sempre un autore, in una sorta di pregiudizio positivo, che mi ha sempre ispirato una certa simpatia. Mi è sempre sembrato che il modo di Moretti di scrivere, soprattutto i dialoghi, fosse quello giusto. Senza avventurarsi in disquisizioni che sinceramente mi troverebbero impreparato, i dialoghi, forse i minimonologhi di Moretti mi hanno sempre ispirato.
Questa volta, sono entrato al cinema incerto. Una parte di me era convinta che questo film mi avrebbe fatto pena. Inspiegabilmente. Ma sono andato con molta gioia: diciamo che è tutta la vita che aspetto il momento di entrare al cinema con gli amici (la cerchia di amici più fedeli a dirla tutta) per vedere un film non blockbuster o mainstream. Un sano film italiano. Di questo sono stato contento.
Ma questo esula dalla recension vera e propria, credo.
Come si è scritto e dibattuto ovunque, Il Caimano è principalmente un film sull'Italia di oggi, sul cinema e sull'amore. Certamente, il sintagma "film sull'Italia di oggi", abusatissimo credo, non può che implicare riferimenti, atti, opere e omissioni del Caimano del titolo del film (e del film nel film): Silvio Berlusconi. La cosa interessante è che Berlusconi e il berlusconismo non sono solo una parte importante del film, ma sono anche il fattore scatenante di molti punti della vicenda.
L'elemento sviluppato in modo probabilmente più interessante è stato il fattore cinema: il protagonista, Bruno Bonomo, interpretato da un bravissimo Silvio Orlando, è un produttore di film di B-movies, le basi di Tarantino tanto per fare un esempio, praticamente in crisi da dieci anni. [Nota a margine: la sequenza che apre il film, presa da "Cataratte", uno dei fake movies della pellicola morettiana, e quella che appare pochi minuti più tardi (in realtà un finto sequel di Cataratte che il personaggio sfrutta a mò di favola della buonanotte), sono davvero eccezionali. Tarantiniane al 100%, forse, e soprattutto nel caso della seconda sequenza, più tarantiniane di Tarantino stesso. Sinceramente, in questi punti ho avuto difficoltà a capire se Moretti facesse sul serio o se fosse uno stupendo esempio di satira cinematografica.]
Per risollevare le sorti della sua casa di produzione, Bruno decide di rischiare: produce un film su Berlusconi (intitolato proprio Il Caimano) scritto da una regista in erba, interpretata da Jasmine Trinca, nonostante la scarsità di finanze. Geniale l'idea della traduzione immediata di stralci della sceneggiatura in "girato" sotto gli occhi di Bruno. Sinceramente, sono proprio le poche sequenze del film nel film le più inquietanti, e in particolar modo l'ultima. È proprio qui che Moretti tira fuori il mondo che ruota attorno al cinema italiano: si va dal restio dirigente RAI che rifiuta il finanziamento, al produttore tedesco cinico, all'attore, interpretato da Michele Placido, che dovrebbe interpretare "Il Caimano". Proprio questo personaggio sottolinea un po' lo spirito dell'italiano realizzato, del divo espansivo ma egocentrico, che va dove ci sono i soldi.
Il Caimano, come si diceva, è anche un film sull'amore, sullo sciogliersi della coppia e della famiglia: Bruno è per molti aspetti un illuso, e questo frangente del film lo sottolinea, un eterno bambino che tenta di salvare gli scampoli della sua vita mentre questa sta gli sta crollando addosso; ma dall'altra parte abbiamo anche la speranza per il futuro, il sincero amore omosessuale della regista e della sua compagna, e lo splendore della loro bambina.
Infine, l'Italia d'oggi, fatalmente dipinta nella breve scena con il primo cameo di Moretti, che interpreta se stesso. Mentre discute con Bruno sull'opportunità di un film su Berlusconi e del suo possibile coinvolgimento, dice: “No, un personaggio come questo non lo faccio, perché sarebbe un film sprecato, perché Berlusconi si fa il lifting e tutti a ridere per il lifting che è venuto male, e poi Berlusconi si fa il trapianto, e tutti a ridere per il trapianto che è venuto bene… Eh no, io non ci sto, è un film per il popolo di sinistra quello che mi chiedete, ma tanto le cose si sanno, chi le vuol sapere le sa, e gli altri tanto non ci crederebbero lo stesso…”. Ma è soprattutto questa la frase chiave del film, la "sentenza" che probabilmente più di ogni altra cosa in questo film apre gli occhi e inchioda alla poltrona: "Ma Berlusconi ha già vinto, ha vinto venti, trenta anni fa, con le sue televisioni... ci ha cambiato la testa!" Un affresco crudele e secco, che fa il paio con la scena finale del film.
Bruno, con l'abbandono dell'attore protagonista e del produttore tedesco, non può mandare avanti la produzione: ha solo i soldi per fare l'ultima scena, per dare una possibilità a tutto. [Nota a margine: proprio qui sta l'unica debolezza narrativa di un film altrimenti linearissimo. Ma purtroppo era l'unico modo per lanciare in modo convincente il finale] Qui il Caimano è interpretato proprio da Moretti (che evidentemente alla fine ha accettato il ruolo): viene rappresentato un futuro possibile e tremendo, in cui il Caimano, uscito sconfitto dal processo, grida "al regime", scatendando la folla contro i giudici.
Un possibile davvero spaventoso.
Un preoccupato freak out,
Pablon
domenica 19 marzo 2006
V for Vendetta
Ebbene, sono entrato al cinema con un po' di pregiudizi: uno positivo, due negativi. Da fan di fumetti sin dalla tenera età, e da fan della penultima ora di Alan Moore, probabilmente il più grande scrittore di fumetti vivente, mi aspettavo un film con una grande storia. Davvero, ho letto il fumetto pochi mesi or sono, ed è davvero qualcosa di inaspettato, di grandissimo, di spiazzante, talmente e cinicamente vicino non solo al vero (specie grazie a personaggi che bucano davvero la pagina), ma alla possibile, alla probabile, all'imminente (?) realtà. Proprio "a causa" della grandeur della graphic novel originale, mi aspettavo di essere tradito da un adattamento riduttivo e sempliciotto, basato tutto sulla carica cool di un personaggio dannatamente figo come quello di V. Basti vedere l'esempio precedente di "estrapolazione" di Moore: il pessimo La Lega degli Uomini Straordinari, di cui non ho ancora letto il fumetto originale, ma di cui ho percepito fin dal primo fotogramma la lontananza dall'originale. Più che percepito, l'ho disperatamente sperato. E finchè non mi toglierò anche questo sassolino, sarò sicuro che sia così. Il fatto è che proprio la mediocrità di quest'ultimo film ha decretato il disinteressamento da parte di Moore verso ogni adattamento cinematografico: "se fa schifo, la colpa è vostra; se è un capolavoro, la colpa è vostra."
Il secondo pregiudizio riguardava soprattutto i Wachos: dopo due prove così mediocri, avrebbero reso merito a un masterpiece del genere?
Con mia stessa sorpresa, la risposta è stata sì. Un sì ampio, convinto e sorridente.
V for Vendetta è una storia che probabilmente va ogni medium in cui sia stata incarnata. Probabilmente, è il Farhenheit 451 o 1984 di fine XX/inizio XXI secolo, ma con una carica emotiva e (politicamente/socialmente) destabilizzante 1000 volte più potente. Merito di un Moore che ha saputo tradurre in fumetto un futuro tridimensionale su un supporto bidimensionale (e bicolore, almeno per l'edizione originale) come il fumetto, ma merito anche della squadra Wachowski/McTeague che ha saputo sapientemente tradurre qualcosa di tanto grande e tanto profondo, non solo in un film convincente, ma probabilmente neanche solo un film e neanche solo convincente. V è un simbolo immortale. Grazie al film, grazie a questa uncompromising vision of the future, lo sarà ancora di più, e per molte più persone, a questo punto.
I discorsi politici-ideologici li lascio alla vostra sensibilità di spettatori, ma, soprattutto, di uomini e donne che vivono in un mondo PERICOLOSAMENTE vicino a quello descritto dal film (e a questo riguardo vi rimando ai deliri mentali di una pazza: qui). Li lascio a voi, perchè ve lo meritate. Se davvero ci vedete quello che c'ho visto io, ve lo meritate.
Piccoli appunti: fotografia stupenda, non c'è che dire, forse un minimo troppo patinata in alcune parti; interpretazioni davvero convincentissime, specie V (Hugo Weaving, l'ex Agente Smith dei Matrix -- personaggio che curiosamente si riaffaccia in alcuni dei dialoghi tortuosi e stranamente affascinanti di V), ma notevoli anche Natalie Portman, nel ruolo di Evey (con quel visino può fare qualsiasi cosa...), Stephen Rea (Finch), e un John Hurt (Sutler, l'Alto Cancelliere) davvero potentissimo (aspetto con ansia di vedere l'originale per godermelo in pieno); buona la colonna sonora dell'italianissimo Marianelli, recentemente nominato anche all'oscar per Orgoglio e Pregiudizio, soprattutto con quel tema stupendo che ha sottolineato l'ultimo incontro tra Evey e V. Scelta davvero azzeccata quella dello humor nero/sarcasmo che ha attraversato molte scene del film (che, sebbene in parte già presente nel fumetto, i Wachos hanno sottolineato con i loro dialoghi magnificamente prolissi) e che ha reso il tutto davvero molto più inquietante, "vicino" e crudele.
Davvero un film di una potenza strabiliante. Davvero un fumetto di una potenza strabiliante.
E guardatelo, il vostro io sociale-politico-umano non chiede nient'altro.
Freak Out,
Paolus!
mercoledì 8 febbraio 2006
Pacifico: Musica Leggera dal Giardino Tropicale
Bene, lunedì 6 febbraio sono stato a uno dei migliori concerti della mia breve esistenza: Gino "Pacifico" De Crescenzo alla Salumeria della Musica, a Milano.
Benchè lo conoscessi dall'inizio, grazie al mio fratellone, è stato il primo concerto "suo" a cui abbia potuto assistere, ed è stata pura magia. A parte l'atmosfera molto intima del locale, che si è mantenuta tale nonostante l'affollamento che si è creato, Pacifico ha davvero saputo incantare tutti con alcune tra le sue più belle canzoni (devo dire che ha riproposto in arrangiamenti a volte persino sorprendenti e inaspettati, ma comunque azzeccatissimi, tutte le sue canzoni che preferisco -- certo, ne mancava qualcuna, ma non si può chiedere tutto dalla vita), con la sua simpatia, con l'"infantilità" poeticissima di alcune trovate (come King Kong, ma soprattutto i coriandoli e le bolle di sapone del finale), e con la magia che si è venuta a creare con gli ospiti, la splendida e bravissima Petra Magoni (davvero, voce strepitosa... e peccato sia sposata...) e il grande Samuele Bersani...
ragazzi, insomma, se vi capita a tiro, che sia disco o concerto, non lasciatevelo sfuggire, perchè non può far altro che piacervi...
... e non lo dico perchè ho avuto l'occasione di conoscerlo, o perchè mi paghi una casa discografica...
... lo dico perchè pacifico non è nè un cantante nè un poeta.. è indefinibilmente grande, è sfuggevolmente piccolo...
... pacifico è pacifico... trovatela voi una definizione, se è davvero necessario...
sabato 28 gennaio 2006
13 Colpi
Che forse sia un caso che sia Hamas che la Lega Nord abbiano bandiere verdi?